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Il Caso

In un caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di roma (deciso con l’ordinanza 22 giugno 2018), un utente ha convenuto in giudizio Facebook Ireland LTD lamentando il carattere diffamatorio di una pagina di tale social network allo stesso dedicata e riferendo che, nonostante la propria richiesta in tal senso, il provider gestore del servizio non aveva provveduto alla rimozione di tale pagina.

Sicché, il ricorrente ha chiesto giudizialmente la rimozione della pagina e dei contenuti ivi pubblicati, con conseguente condanna del gestore della piattaforma informatica al risarcimento del danno.

Diritto di cronaca e critica

La pronuncia in esame muove da una ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in materia di libertà di manifestazione del pensiero e legittimo esercizio del diritto di cronaca e critica per giungere, poi, a ad analizzare il tema della responsabilità del provider, tracciandone i confini.

In particolare, il Tribunale procede, anzitutto, a vagliare la liceità dei contenuti pubblicati sulla pagina Facebook oggetto di censura, giungendo a ritenerli privi di portata diffamatoria siccome rientranti nel corretto esercizio del diritto di critica.

Nella prima parte del provvedimento in commento, il Tribunale ripercorre la differenza tra la disciplina del legittimo esercizio del diritto di cronaca e quello di critica.

Com’è noto, quando vengono rispettati determinati requisiti, una condotta astrattamente diffamatoria non è punibile se è espressione del diritto di cronaca.

Secondo l’ormai costante orientamento della giurisprudenza, consolidatosi a partire dalla sentenza della Cassazione Civile, 18.10.1984, n. 5259, c.d. “decalogo del giornalista”, il diritto di cronaca è legittimamente esercitato nel momento in cui vengono rispettati, congiuntamente, i seguenti tre presupposti: la verità, anche solo putativa, dei fatti narrati; la continenza e correttezza della forma espositiva impiegata, che deve essere proporzionata alla rilevanza dei fatti narrati; l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti esposti. In presenza di siffatti requisiti, la divulgazione di notizie di cronaca costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca e, conseguentemente, esime il giornalista da responsabilità.

Nella pronuncia in esame il Giudice rimarca come l’esercizio del diritto di critica non si limiti alla narrazione di un fatto accaduto, ma a fornirne una valutazione e una interpretazione eminentemente soggettiva.

Di conseguenza, nell’esercizio del diritto di critica, la sussistenza del requisito della verità dovrà essere valutato con minor rigore ed interpretato esclusivamente quale veridicità del fatto dal quale la critica trae origine. Si potrà pertanto ritenere lecita la rappresentazione di un dato fattuale ancorché non strettamente oggettiva.

Analogamente, anche il della continenza espositiva si considera attenuato e i può quindi ritenere lecita anche la critica resa in forma di aperto dissenso: anche il giudizio severo e irriverente, se collegato col dato fattuale dal quale l’autore della critica trae spunto, può considerarsi legittimo.

Applicando i suddetti principi, Il giudice capitolino ha dunque ritenuto che le immagini e i contenuti oggetto di censura fossero volti a dare evidenza alla tesi dell’anonimo titolare della pagina, contrastante a quella fatta propria sul ricorrente in merito alle responsabilità del conflitto siriano e di altri drammatici fatti storici.

Sulla scorta di tale premessa, il Tribunale ha affermato che entrambe le opposte visioni geopolitiche del ricorrente e del titolare della pagina “si inseriscono nel solco di un dibattito tanto aspro quanto legittimo” e, dunque, in una forma di esplicazione del diritto di critica garantito ex art. 21 Cost.

La responsabilità degli Internet Service Provider

Dopo aver ritenuto privi di portata diffamatoria i contenuti censurati, il Tribunale è giunto a vagliare la possibilità o meno di configurare un obbligo di rimozione degli stessi in capo al provider, ripercorrendo i confini della responsabilità del fornitore di servizi internet.

Com’è noto, in base alla Direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE, recepita nel nostro ordinamento dal  D.Lgs. n. 70/2003), i fornitori di servizi internet sono esonerati dall’obbligo generale di sorveglianza sui contenuti pubblicati dagli utenti.

Un controllo ex ante da parte delle piattaforme online sui contenuti caricati da parte degli utenti risulterebbe, infatti, concretamente e tecnicamente di difficile – se non impossibile – attuazione.

La Direttiva europea non impone dunque all’Internet Service Provider né un generale di dovere di sorveglianza, né tanto meno un obbligo di monitorare la presenza di contenuti illeciti sulla propria piattaforma ma ne sancisce la responsabilità laddove venga a conoscenza effettiva di fatti o attività illecite commessi dagli utenti dei propri servizi.

Sulla scorta di tale quadro normativo, il Tribunale di Roma ha ritenuto che, nell’assenza di un generale dovere di controllo da parte del provider sui contenuti pubblicati sulla propria una piattaforma informatica, la segnalazione di una condotta reputata illecita commessa per il tramite di detta infrastruttura da parte dell’interessato determina per il fornitore di servizi internet esclusivamente l’obbligo di effettuare una verifica,  riemessa alla sua disamina e alla sua responsabilità, circa la liceità di detti contenuti.

Conclusioni

Applicando tali principi, il Tribunale di Roma ha ritenuto che a seguito di segnalazioni o diffide da parte dell’interessato sorge a carico del provider un obbligo immediato di attivazione e non già di rimozione dei contenuti, quest’ultima essendo subordinata alla sussistenza di una manifesta ed evidente illiceità dei contenuti medesimi.

Il provider dovrà dunque immediatamente valutare il rispetto dei parametri previsti nelle condizioni di utilizzo della piattaforma web e l’insussistenza di una portata palesemente ed immediatamente diffamatoria del contenuto pubblicato.

Solo in presenza di detti requisiti il fornitore di servizi internet sarà immediatamente gravato dell’obbligo di rimozione dei contenuti denunciati.

In caso contrario, a parere del giudice capitolino, l’obbligo di intervento configurato in capo al provider dal D.Lgs. n. 70/2003 deve ritenersi subordinato alla preventiva emanazione di un provvedimento giudiziale che accerti l’illiceità del contenuto censurato.

Avv. Giulia Caruso

 

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