privacy pc

Sequestrare un pc o un qualsiasi supporto informatico a scopo probatorio può portare, come nel caso in questione, a diversi conflitti tra le autorità operanti e il presunto autore dell’illecito.

Il punto critico è rappresentato dall’oggetto del reato: è il pc, contenitore in sé di dati, oppure i dati che sono custoditi al suo interno?

Inoltre, l’autorità può incondizionatamente appropriarsi di tutti i dati, personali e non, che sono custoditi all’interno del supporto?

Proprio questa possibile differenziazione tra contenitore e contenuto nel caso di sequestri di pc o supporti informatici ha portato all’attenzione della Corte di Cassazione il caso in esame: il ricorrente si era visto restituire il proprio pc, che era stato oggetto di sequestro, ma, poiché l’autorità giudiziaria aveva estratto copia di tutti i dati che vi erano custoditi, egli riteneva che il suo interesse a ricorrere fosse ancora attuale, nonostante la formale restituzione del pc.

Prima di passare all’esame della posizione presa dalla Suprema Corte sulla questione, è opportuna una breve analisi dell’istituto del sequestro probatorio.

 

Il sequestro probatorio

Il sequestro probatorio è una delle tre tipologie di sequestro previste dal nostro Codice di Procedura Penale.

Mentre, da un lato, il sequestro preventivo e quello conservativo rappresentano delle misure cautelari, quello probatorio viene annoverato tra i mezzi di ricerca della prova, ovvero quelle attività svolte durante la fase delle indagini preliminari e dirette, appunto, alla ricerca e all’acquisizione di indizi e prove, spesso facenti leva sul fattore sorpresa (è limitato, di regola, il diritto del difensore al preventivo avviso).

Tutte e tre le tipologie di sequestro presentano una radice comune consistente nello spossessamento coattivo di un oggetto mobile o immobile.

Il sequestro probatorio, però, presenta una finalità differente dagli altri.

Il fine dell’istituto è, infatti, il rendere indisponibile per il proprietario una determinata cosa per conservare inalterate le caratteristiche del bene e permettere il corretto accertamento dei fatti.

Il sequestro può essere disposto, in base al dettato dell’art. 253 c.p.p., sul corpo del reato, ovvero sull’oggetto mediante il quale il fatto delittuoso è attuato (es. una pistola) oppure su ciò che ne rappresenta il prezzo (compenso dato o promesso ad altri per compierlo), il prodotto (il risultato) o il profitto (vantaggio economico dell’autore del reato) e sugli altri elementi pertinenti all’oggetto del reato (“1. L’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti. 2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo. 3. Al sequestro procede personalmente l’autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato con lo stesso decreto. 4. Copia del decreto di sequestro è consegnata all’interessato, se presente”.)

Si può, dunque, desumere che la motivazione del provvedimento che dispone il sequestro ha un’elevata importanza, in quanto in essa bisogna indicare il rapporto d’immediatezza che sussiste tra bene sequestrato e reato oggetto d’indagine.

E’ proprio la motivazione che consente di verificare la legittimità del provvedimento: la legge parla, infatti, di cose pertinenti al reato “necessarie” per l’accertamento dei fatti: questa locuzione non ha una chiara definizione per ciò che riguarda l’an e il quantum del sequestro (cioè se debba essere disposto e in che misura) e, proprio per tale motivo, i principali dibattiti in tema di sequestro nascono su quest’elemento, proprio come nel caso in questione.

Nella motivazione, dunque, è necessario indicare in che modo l’indisponibilità del corpo del reato sia idonea ai fini probatori e in che misura: nel caso in cui gli elementi a supporto del provvedimento appaiano scarni e poco congrui il decreto di convalida sarà da ritenere nullo.

La Suprema Corte in diverse occasioni ha specificato che neppure il Tribunale del riesame in sede di convalida del sequestro ha il potere di colmare le lacune motivazionali del provvedimento del PM, che dovrà inevitabilmente essere dichiarato nullo.

 

Il caso

Nel caso in questione (sent. 40963/2017) si discute, appunto, sulla congruità o meno della motivazione.

La difesa dell’indagato contestava innanzi alla Cassazione l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato il decreto di sequestro disposto dal PM, nonostante il pc fosse sì già stato restituito, ma  previa estrazione di copia dei dati in esso contenuti.

Il ricorrente ribadiva di avere ancora un pieno interesse a ricorrere in quanto, nonostante vi fosse stata la restituzione del supporto informatico, portata del sequestro appariva ampliata a dismisura, avendo riguardato integralmente tutti i dati contenuti all’interno del pc.

La Suprema Corte, nell’analizzare la situazione, affermava che vero è che l’oggetto del sequestro deve essere ben specificato e può riguardare tanto il supporto informatico come contenitore, quanto il contenuto come interezza dei dati o singolo dato, ma che il tutto deve essere sorretto da un’adeguata e congrua motivazione.

E vi sono, a detta dei giudici, tre modalità con cui il sequestro può colpire un sistema informatico.

In un primo caso, questo può colpire il singolo apparato (supporto informatico) e la restituzione dovrà riguardare quest’ultimo, in quanto oggetto del sequestro.

Vi è poi una seconda ipotesi in cui interessato dal sequestro sia esclusivamente un singolo dato in sè: è evidente, in questa situazione, che la restituzione non debba riguardare il supporto, ma esclusivamente lo specifico dato copiato.

L’ultima ipotesi prospettata dalla Suprema Corte riguarda il dato inteso come recipiente di informazioni ovvero come documento informatico di cui interessa il contenuto.

Questa tripartizione rende necessaria una precisazione: nei primi due casi, a detta della Corte, non si potrebbe applicare l’art. 258 c.p.p. (concernente la conservazione di copia del dato sequestrato: “1. L’autorità giudiziaria può fare estrarre copia degli atti e dei documenti sequestrati, restituendo gli originali, e, quando il sequestro di questi è mantenuto, può autorizzare la cancelleria o la segreteria a rilasciare gratuitamente copia autentica a coloro che li detenevano legittimamente. 2. I pubblici ufficiali possono rilasciare copie, estratti o certificati dei documenti loro restituiti dall’autorità giudiziaria in originale o in copia, ma devono fare menzione in tali copie, estratti o certificati del sequestro esistente. 3. In ogni caso la persona o l’ufficio presso cui fu eseguito il sequestro ha diritto di avere copia del verbale dell’avvenuto sequestro. 4. Se il documento sequestrato fa parte di un volume o di un registro da cui non possa essere separato e l’autorità giudiziaria non ritiene di farne estrarre copia, l’intero volume o registro rimane in deposito giudiziario. Il pubblico ufficiale addetto, con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, rilascia agli interessati che li richiedono copie, estratti o certificati delle parti del volume o del registro non soggette al sequestro, facendo menzione del sequestro parziale nelle copie, negli estratti e nei certificati.”). Nella terza ipotesi, invece, la restituzione del supporto con estrazione della copia non sarebbe esaustiva in quanto ciò che interessa al sequestro è proprio quell’insieme di dati: vale a dire che la restituzione del pc non elimina il pregiudizio arrecato alla segretezza e alla riservatezza dell’indagato.

La Corte, peraltro, rilevava anche che il provvedimento del Tribunale del riesame non indicava in alcun modo il necessario rapporto d’immediatezza tra il bene sequestrato e il reato per cui si procedeva: non era, quindi, specificato in che modo il materiale sequestrato fosse pertinente al reato e per quali finalità probatorie fosse utile.

Il provvedimento è stato, quindi, cassato, con conseguente rinvio al Giudice del riesame che dovrà decidere applicando il principio di diritto stabilito dalla Cassazione.

 

Dott. Luigi Dinella

 

 

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