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Oggigiorno si sente parlare molto spesso di danno alla reputazione. La questione non è affatto nuova, ma sembra che nell’era di Internet e dei social network la possibilità di arrecare un danno di questo tipo a qualcuno o di subirlo si siano amplificate. Infatti, se da un lato l’iperconnessione rende estremamente facili e veloci le interazioni tra persone, fisiche o giuridiche che siano, dall’altro, appare chiaro che la possibilità di recare offese o essere offesi aumenta in maniera proporzionale.

Il diritto alla reputazione, nell’ordinamento italiano, viene tutelato in quanto bene avente rilevanza costituzionale. Sebbene non sia espressamente menzionata, infatti, la tutela della reputazione può essere ricavata dal combinato disposto degli artt. 2 e 3 della Carta.

Il diritto alla reputazione rientra, insieme al diritto all’immagine, al nome e all’onore nell’alveo dei diritti della personalità.

Lo stesso è tutelato, poi, in maniera rilevante dall’art. 595 del Codice penale che prevede il reato di diffamazione nel caso in cui qualcuno “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”.

A ciò si aggiunga, per quanto qui d’interesse, che le offese alla reputazione perpetrate tramite i social network sono pacificamente assimilate alle offese effettuate a mezzo della stampa e che integrano quindi una specifica aggravante del reato di diffamazione.

Il danno alla reputazione non si risolve solo nel danno cagionato alla persona fisica, lesa nella sua dignità, ma si estende anche alla sfera lavorativo-professionale del soggetto danneggiato. Inoltre, è riconosciuta, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, la circostanza che la lesione della reputazione possa riguardare anche le persone giuridiche.

 

Danno alla reputazione della persona fisica

Il diritto alla reputazione personale riguarda la sfera intima di un determinato soggetto ed ha a che fare con l’onore e il prestigio che tale persona porta con sé. Si tratta, nello specifico, della considerazione di cui una persona gode in un determinato ambiente o presso una determinata cerchia di persone, piccola o grande che sia.

Occorre precisare che, in caso di lesione, il concetto di reputazione va valutato dall’esterno: per dirla con la Corte di Cassazione, “la condotta asseritamente diffamatoria della persona non va valutata “quam suis”, e cioè in riferimento alla considerazione che ciascuno ha della sua reputazione, bensì come lesione dell’onore e della reputazione di cui la persona goda tra i consociati”.

Qualora si verifichi una lesione della reputazione, colui che si ritenga danneggiato può agire per il risarcimento dei danni di natura patrimoniale e non patrimoniale. In particolare, per la liquidazione di quest’ultimo tipo di danni, il giudice terrà conto di una serie di criteri come, ad esempio, la carica pubblica o il ruolo professionale ricoperto dalla persona danneggiata, le conseguenze sulla sua professione o sulla sua vita, la natura del fatto che gli è stato falsamente attribuito, il lasso di tempo intercorso tra la l’avvenimento del fatto e la domanda risarcitoria ecc.

Sebbene in passato si ritenesse che una volta provata l’esistenza del fatto lesivo non fosse necessaria anche la prova del danno, l’orientamento giurisprudenziale ora consolidato appare diverso. Sull’argomento, sembra opportuno citare una pronuncia abbastanza recente della Corte di Cassazione, secondo cui “in tema di responsabilità civile derivante da pregiudizio all’onore ed alla reputazione, il danno risarcibile non è in re ipsa e va pertanto individuato, non nella lesione del diritto inviolabile, ma nelle conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di tale danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice sulla base, non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato”.

 

Danno alla reputazione professionale

La lesione della reputazione professionale ha riguardo alla perdita della fiducia e della stima da parte delle persone con cui la persona entra in contatto o interagisce nel suo ambiente di lavoro.

La lesione della reputazione personale e quella della reputazione professionale, definita anche lavorativa o commerciale, vanno tenute distinte anche se molte volte posso avvenire contestualmente.

Se la prima, infatti, comporta una lesione della dignità della persona a tutto tondo, la seconda si riferisce esclusivamente alla lesione del prestigio professionale di detta persona nell’ambiente lavorativo in cui opera.

Anche in questo caso, il danneggiato può richiedere il risarcimento del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale. L’accertamento della lesione non comporta in automatico la risarcibilità del danno: spetta al danneggiato provare che la lesione della reputazione gli abbia cagionato una perdita patrimoniale o un danno non patrimoniale.

Da ultimo, occorre precisare che chi ha subito una lesione della propria reputazione, nella sfera personale o in ambito lavorativo, può richiede il risarcimento dei danni a prescindere dal fatto che venga accertata una fattispecie di reato. Ciò in quanto, la violazione del decoro e della dignità personale o commerciale costituisce una lesione di un valore protetto dalla Costituzione. A tale proposito, anche la Corte di Cassazione è stata chiara nell’affermare che “la risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell’art. 2059 c.c., in relazione all’art. 185 c.p., non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come tale e sia, pertanto, idoneo a ledere l’interesse tutelato dalla norma penale; sicché, ai fini del risarcimento di detto danno, l’inesistenza di una pronunzia del giudice pena le non costituisce impedimento all’accertamento da parte del giudice civile della sussistenza degli elementi costitutivi del reato”.

 

Il diritto alla reputazione per le persone giuridiche

Come anticipato, la tutela in caso di lesione della reputazione è estesa anche alle persone giuridiche, che se danneggiate potranno chiedere il risarcimento dei danni. In questo caso specifico il danno non patrimoniale sarà dato dalla diminuzione della considerazione della società nel settore in cui opera. Sul punto è intervenuto anche il Consiglio di Stato, precisando che Il diritto all’immagine, che si concretizza nella considerazione che un soggetto ha di sé e nella reputazione di cui gode, non può essere considerato appannaggio esclusivo della persona fisica dovendo, quindi, essere riconosciuto anche alle persone giuridiche”.

 

Lesione della reputazione: un esempio che abbraccia i tre casi descritti

Come già accennato, in precedenza, la reputazione personale e quella professionale, seppur distinte, possono essere danneggiate nella medesima occasione.

A ben vedere, non è difficile trovare casi in cui una condotta sia idonea a ledere la reputazione nelle tre forme sopra descritte. Un esempio può aiutare a comprendere meglio.

Si ponga il caso di uno youtuber o di un blogger che pubblica contenuti di vario genere su un canale o su una pagina di proprietà di una determinata società. Ebbene, non è affatto infrequente imbattersi in utenti che, non apprezzando quanto pubblicato, si lanciano in vere e proprie invettive nei confronti del divulgatore e della pagina in questione. Tali comportamenti, molto spesso, possono travalicare il sacrosanto diritto di critica per sfociare in commenti aberranti, insulti e in taluni casi nella diffamazione vera e propria. I commenti denigratori, in tali casi, possono riguardare sia la dignità e le capacità professionali di chi pubblica i contenuti sia la pagina che ospita tali contenuti. Quindi, con poche righe sotto un post o un video si può, potenzialmente, violare il diritto alla reputazione come descritto nelle tre forme.

 

  Redazione Diritto dell’informatica

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