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Che fine fanno gli account social e in generale tutte le tracce lasciate da un soggetto sul web quando muore? E, in generale, possono gli eredi vantare un qualche diritto sulla cosiddetta “eredità digitale”?

Su tale tema controverso, arriva direttamente dalla Corte Federale di Giustizia tedesca una sentenza che non mancherà di far discutere.

I fatti alla base della sentenza

Alla base del provvedimento c’è infatti la richiesta avanzata da una coppia di genitori che rivendicava il diritto di accedere al profilo Facebook della figlia, morta qualche anno in circostanze mai effettivamente chiarite.

La decisione di rivolgersi al Tribunale di Berlino scaturiva dal fatto che il popolare social network avesse fin dal principio negato ai genitori l’accesso al profilo che, subito dopo il decesso, era stato trasformato nella cosiddetta “versione commemorativa”, ovvero quella versione dell’account in cui gli utenti possono lasciare messaggi di dedica, ma per la quale tuttavia non è consentita la modifica dei dati o la lettura dei messaggi privati che vengono ad esso vengono recapitati.

L’esigenza, come già sottolineato, era quindi dettata dalle oscure circostanze in cui era avvenuta la morte della giovane, che nel 2012, a seguito di una caduta nei binari della metropolitana, era stata travolta e uccisa da un treno: l’intento dei parenti era infatti quello di scovare tra i contenuti privati, quelli che lasciassero presagire la presenza di un disagio esistenziale o di episodi di bullismo e responsabili di un possibile gesto suicidario.

Sulla base delle motivazioni così espresse, i giudici di primo grado nel 2015 accoglievano favorevolmente il ricorso presentato dalla coppia, ritenendo che i post pubblicati sul profilo fossero assimilabili ad un tradizionale diario cartaceo – e pertanto ereditabile – secondo quanto stabilito dal codice civile tedesco.

Facebook contestava duramente il verdetto e, appellandosi ai giudici della Corte d’appello di Berlino deduceva la violazione delle norme riguardanti la riservatezza e il diritto all’oblio della defunta da parte della sentenza di primo grado.

I giudici di seconda istanza, nel maggio 2017 rovesciarono quindi la decisione resa in prima istanza sul presupposto che, nella valutazione e nel bilanciamento delle norme riguardanti il diritto successorio e la segretezza delle telecomunicazioni, fossero le seconde a dover prevalere: riportando infatti il precedente espresso nel 2009 dalla Corte Costituzionale tedesca che aveva stabilito l’estensibilità in via analogica di tale normativa anche alla posta elettronica, la Corte d’Appello riteneva che tale principio fosse perfettamente applicabile anche alla chat presente su Facebook.

In pratica, i giudici di appello ritenevano che per la Costituzione tedesca, la riservatezza di una persona dovesse essere garantita anche dopo la sua morte, in quanto suo diritto fondamentale.

La decisione della Corte Federale di Giustizia tedesca

I giudici di appello, tuttavia, ammettevano contestualmente come la decisione fosse controversa e pertanto consentivano un ulteriore ricorso alla Corte federale di giustizia tedesca: i genitori della quindicenne impugnavano la sentenza davanti al massimo organo giurisdizionale tedesco, (il Bundesgerichtshof, BGH) che lo scorso 12 luglio ha confermato la decisione emessa dal Tribunale di Berlino nel 2012.

Nella sentenza, che accoglie l’impugnazione dei familiari della defunta, il BGH ha stabilito la correttezza della decisione di primo grado: Facebook deve infatti garantire agli eredi di un utente deceduto l’accesso all’account di quest’ultimo.

Gli eredi subentrano quindi automaticamente nella a posizione del soggetto deceduto in tutti gli aspetti ad essa connessi, compreso il contratto da questi stipulato originariamente con il social network.

Secondo il BGH infatti, questo accordo non può essere considerato di natura strettamente personale: l’oggetto dell’accordo utente – Facebook, non comprende le comunicazioni (possibilmente confidenziali) inviate da un individuo persona fisica, ma esclusivamente l’account di quest’ultimo.

Pertanto, con la morte dell’utente, gli eredi subentrano nelle posizioni corrispondenti, compreso il contratto stipulato con il social network. In caso di morte, gli utenti dovranno quindi d’ora in avanti considerare la possibilità che agli eredi sia consentito visualizzare le proprie conversazioni passate ed eventualmente regolare il destino della propria identità digitale attraverso apposite disposizioni testamentarie.

Del resto, aggiunge la Corte Suprema, non v’è alcuna ragione per regolare diversamente i contenuti digitali da quelli tradizionali (si pensi ad esempio ai diari cartacei di contenuto strettamente personale o confidenziale), che secondo il diritto tedesco, sono perfettamente ereditabili dai congiunti prossimi del defunto.

La Corte a questo punto non ravvisa nemmeno nemmeno conflitti con i diritti personali post mortem dell’utente defunto, in quanto non vi sarebbe alcuna violazione delle norme in materia di privacy nelle telecomunicazioni, in quanto l’erede non può essere considerato “altro” secondo il termine utilizzato nella disposizione di legge pertinente (par. 88 Abs. 3 TKG, della legge tedesca sulle telecomunicazioni).

Infine, i giudici non ravvisano inoltre alcun conflitto con le attuali leggi sulla protezione dei dati applicabili, ed in particolare con il Regolamento generale sulla protezione dei dati n. 679/2016 (GDPR), entrato in vigore nel maggio 2018.

Secondo il BGH, la tutela offerta dal GDPR riguarderebbe, in ogni caso, soltanto “i vivi” o in questo caso, soltanto gli interessi degli eredi.

Conclusioni

Diversi commentatori tedeschi non hanno esitato a definire questa sentenza come “rivoluzionaria”. Al di là delle considerazioni di natura prettamente legale, siamo davvero sicuri che l’eredità digitale qualora non sia debitamente regolata, possa contemperarsi con il suo diritto ad essere legittimamente dimenticato?

Dott. Ercole Dalmanzio

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