Il marchio, si sa, è un bene sempre più importante: può essere oggetto di operazioni di sfruttamento commerciale (ad esempio, concessione di licenze e di contratti d’esclusiva) e come strumento di marketing può addirittura diventare il patrimonio principale di una impresa.
Il "marchio comunitario" offre una protezione unitaria in tutti i paesi dell’Unione Europea, a differenza del marchio nazionale che assicura una protezione circoscritta al mercato di un unico paese. Vi è, altresì, il marchio internazionale, che consente una tutela anche in paesi che non appartengono all’UE. E’ utile sottolineare che tali opzioni non si escludono reciprocamente e che il marchio comunitario si ottiene in seguito ad una procedura di registrazione unica presso l’UAMI.
Tanto premesso, nel caso di specie stiamo assistendo ad una versione moderna della lotta fra Davide e Golia: il primo è Daniel Giersch, il secondo è Google. Giersch, in particolare, è titolare del marchio "G-mail" (sito web: www.gmail.de), che identifica un servizio di email in uso già dal 2000. Il Gmail di Google è così noto da rendere inutile qualsiasi spiegazione in merito.
La controversia ha origine nel 2004, quando Google ha lanciato il proprio servizio di posta elettronica "Gmail" ed ha poi iniziato a registrare il corrispondente marchio in tutto il mondo. Nel 2005, però, Giersch si è opposto a detta registrazione perché il marchio era praticamente a quello da lui registrato, così come lo erano i servizi forniti sia da lui che da Google.
Il tedesco ottenne quindi una prima vittoria legale, ma Google propose subito appello, sottolineando le differenze cromatiche fra i loghi (quello di Google contiene il rosso, il blu, il giallo e il verde, mentre quello di Giersch contiene solo il giallo e il nero) nonché la circostanza che numerosi marchi registrati presentano il termine "mail" preceduto da una lettera dell’alfabeto. Il rischio di confusione, dunque, sarrebbe praticamente inesistente, secondo tale visione.
L’UAMI è stato però di parere contrario: l’elemento comune "GMAIL", infatti, dà ai segni una similitudine visuale, fonetica e concettuale tale da ingenerare confusione e da far ritenere che i marchi presentano una comune origine commerciale.
Google può ancora opporsi a tale decisione, ma le numerose vittorie ottenute dal caparbio Giersch rafforzano l’impressione che le possibilità di vittoria per la prima non siano molto numerose. Anziché di Gmail, dunque, in riferimento a Google si dovrebbe parlare di "Google Mail".