La diffamazione è un reato previsto dall’art. 595 c.p., che punisce chiunque offenda l’altrui reputazione comunicando con più persone e che prevede anche alcune ipotesi aggravate, la più conosciuta delle quali è quella dell’offesa a mezzo stampa. In particolare, l’applicazione di questa tipologia di diffamazione aggravata è stata ormai da tempo estesa in via interpretativa anche alla diffusione di notizie offensive tramite la rete internet. Quello che caratterizza e accomuna questi strumenti è, infatti, l’idoneità di rivolgere ad un pubblico indeterminato o, comunque, ipoteticamente incalcolabile di destinatari le frasi offensive o denigratorie. Diverso, invece, è il caso dell’utilizzo della posta elettronica: con tale strumento, infatti, la comunicazione offensiva viene diretta ad un numero definito di destinatari particolari, che, per quanto possano essere numerosi, non equivalgono mai all’indeterminatezza dei destinatari delle comunicazioni effettuate a mezzo stampa o mediante social network.

È vero che la diffamazione condivide con l’ingiuria la lesione all’onore di una persona, tuttavia si differenzia da quest’ultima per il fatto che, mentre l’ingiuria offende l’onore e il decoro di una persona presente, la condotta diffamatoria è integrata dalla divulgazione a più persone di offese aventi ad oggetto una persona assente.

L’onore, tutelato dal reato di diffamazione, va inteso infatti come percezione che l’opinione pubblica ha della dignità personale e come valore sociale del soggetto offeso e non come personale considerazione che ciascuno ha di sé. Per questo, il legislatore ha considerato non solo più grave tale comportamento se posto in essere senza che l’offeso abbia la possibilità di difendersi immediatamente (assenza dell’offeso nella diffamazione rispetto all’ingiuria), ma ha anche ritenuto la condotta tanto più grave quanto maggiore è il numero di persone alle quali è comunicata o con le quali è condivisa l’offesa altrui.

La maggiore gravità che caratterizza la diffamazione rispetto all’ingiuria, peraltro, è dimostrata anche dall’avvenuta depenalizzazione delle condotte ingiuriose, ormai oggetto solo di sanzioni pecuniarie civili e prive di rilievo penale.

Per integrare il reato in oggetto, inoltre, non è necessario che la comunicazione sia rivolta nello stesso momento a tutti i destinatari, né che la persona offesa sia identificata direttamente con il nome, potendo individuarsi la vittima della denigrazione da tanti altri elementi anche in assenza di tale espresso richiamo.

Nonostante dottrina e giurisprudenza abbiano da tempo chiarito i requisiti caratterizzanti tale reato, di recente la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta con una pronuncia sull’argomento che è apparsa restrittiva rispetto all’interpretazione affermatasi negli ultimi anni.

La nuova interpretazione della Corte di Cassazione

Nel caso in esame, il Tribunale di Ferrara, confermando la pronuncia del Giudice di Pace, condannava un uomo per diffamazione per avere inviato ad una donna una e-mail con contenuti offensivi e lesivi della sua reputazione, inoltrando il messaggio anche ad altri destinatari.

Contro detta decisione l’uomo ricorreva in Cassazione, deducendo l’errata applicazione della legge penale e vizi della motivazione in merito alla configurabilità del reato, non essendo stata raggiunta la prova dell’effettivo recapito del messaggio ai destinatari terzi e del fatto che questi lo avessero effettivamente letto. Questi soggetti, peraltro, chiamati a testimoniare, avevano dichiarato di non aver alcun ricordo della corrispondenza in oggetto.

Nel ricorso, si sosteneva che il Tribunale avesse erroneamente ritenuto perfezionato il reato attraverso la mera spedizione del messaggio di posta elettronica. In questo modo i giudici avrebbero ricondotto, di fatto, la diffamazione ad un reato di pericolo, ovvero diretto a punire condotte criminose che mettono solo in pericolo il bene protetto dall’ordinamento anche se un danno concreto non si è ancora realizzato.

Con la sentenza n. 55386/2018, i giudici della V Sezione Penale della Corte di Cassazione, annullando la decisione del Tribunale di Ferrara, affermano che l’indicazione degli indirizzi e-mail dei destinatari non è sufficiente per provare in giudizio la ricezione del messaggio incriminato e, quindi, per dimostrare la divulgazione a più soggetti di un contenuto di carattere offensivo per un terzo.

E questo elemento è fondamentale per integrare il reato, e quindi per portare ad una condanna penale, in quanto il reato di diffamazione è un reato di evento, che si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l’espressione offensiva.

Ne consegue che, se l’offesa nei confronti di un soggetto non è percepita da altre persone (vuoi perché la comunicazione non è giunta a destinazione, non è stata letta o perché i destinatari non l’hanno intesa come denigratoria dell’onore altrui), il reato non si configura.

Nel caso in oggetto, la Suprema Corte contesta infatti la decisione del Tribunale nel punto in cui esso si limita a ritenere come provata la ricezione del messaggio da parte dei destinatari terzi, senza precisare né provare la modalità di tale ricezione.

Per la Cassazione, poiché l’e-mail è una comunicazione diretta a un destinatario predefinito ed esclusivo (al di là del fatto che la stessa comunicazione sia indirizzata a più soggetti), ciascun destinatario può venire effettivamente a conoscenza del contenuto dell’e-mail soltanto collegandosi attraverso un proprio dispositivo e utilizzando delle chiavi di accesso personali.

Dunque, in caso scritti, immagini o file vocali caricati su siti web o diffusi sui social media (che integrano quindi i requisiti di una diffamazione aggravata a mezzo internet), come chiarito da giurisprudenza consolidata, è sufficiente l’inserimento del contenuto denigratorio in rete per presumere la sua comunicazione con un numero indeterminato di soggetti. Per la posta elettronica, invece, che, come visto sopra, consiste in una comunicazione a destinatari già individuati precisamente dal mittente, è necessario che sia provato l’effettivo recapito agli stessi dell’e-mail.

La Cassazione, quindi, alla fin fine, non modifica l’orientamento e l’interpretazione formatisi negli ultimi anni in tema di diffamazione online, ma, semplicemente, chiarisce come la posta elettronica costituisca un’ipotesi specifica di comunicazione individuale, non equiparabile, pertanto, alla diffamazione aggravata.

La prova dell’effettiva ricezione dell’e-mail

Pertanto, per i messaggi di posta, il requisito della comunicazione a più persone, non può venire presunto dalla mera spedizione a più destinatari, ma è necessaria la prova dell’effettivo recapito agli stessi.

Prova che, peraltro, non richiede necessariamente accertamenti di natura tecnica sui server o sui dispositivi personali, ma può ritenersi già raggiunga qualora risulti che il messaggio è stato scaricato dal destinatario (ovvero semplicemente trasferito sul dispositivo dell’utente) e che può essere confermata anche tramite esame testimoniale del destinatario stesso nel corso del giudizio. Addirittura, la Corte afferma, nella sentenza in esame, che tale prova può anche venire acquisita in via logica, purché partendo da una base fattuale adeguata, ad esempio basandosi sulla frequenza di accesso dei destinatari alla casella di posta elettronica.

In relazione a quanto sopra, la sentenza del Tribunale di Ferrara è stata annullata con rinvio per un nuovo esame.

Un caso particolare: e-mail con più destinatari in copia nascosta

Volendo ipotizzare l’invio di una e-mail offensiva ad un soggetto, mettendo in copia nascosta anche altri soggetti terzi, nel caso in cui il destinatario della e-mail risponda alla stessa a sua volta offendendo il mittente, può essere integrato o meno il reato di diffamazione?

A rigor di logica, essendo la consapevolezza di ledere l’altrui reputazione in presenza di più soggetti conditio sine qua non affinché l’ipotesi di reato si cristallizzi, non si può parlare di diffamazione non essendo conscio il destinatario di interagire anche con soggetti differenti rispetto al mittente.

Dott. Alvise Nisato – Avv. Cristina Brilli

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