Il Tribunale di Milano ha recentemente affermato l’astratta possibilità di chiedere e ottenere la de-indicizzazione dal motore di ricerca Google di determinati contenuti presenti sul web, anche ove non ricorrano i presupposti per la tutela del c.d. “diritto all’oblio”, purché detti contenuti siano lesivi del diritto all’identità personale del soggetto il cui nome sia ad essi associato dal motore di ricerca (Tribunale di Milano, sentenza 5 settembre 2018, n. 7846).

Prima di analizzare le rilevanti implicazioni della pronuncia in esame, è opportuno esaminare il caso sottoposto all’attenzione del Tribunale ambrosiano.

Il Caso

Con ricorso depositato nell’agosto 2017, un soggetto si è rivolto al Garante della Privacy opponendosi al trattamento di informazioni contenenti il suo nome, accessibili tramite il motore di ricerca Google, reputate lesive del proprio onore e della propria reputazione.

Si trattava in particolare di una serie di articoli reperibili sul web che gli attribuivano atti di diffamazione, molestie e cyberstalking, di cui il ricorrente chiedeva quindi al Garante la deindicizzazione, pur senza lamentare una lesione del proprio diritto all’oblio.

A fronte di tale circostanza, l’originaria richiesta di deindicizzazione formulata direttamente nei confronti del motore di ricerca era stata in parte respinta, in quanto ritenuta da Google non sorretta dai presupposti sanciti dalla Corte di Giustizia ai fini dell’esercizio del diritto all’oblio.

Il Garante per la protezione dei dati personali, invece, riteneva di accogliere la richiesta e ordinava la rimozione dal motore di ricerca Google dei link censurati, tra l’altro con estensione a livello globale, ritenendo sussistente il diritto all’oblio dell’interessato in base alla nota sentenza Costeja resa dalla Corte di Giustizia.

Con ricorso ex art. 152, D.Lgs. 196/2003, Google Italy e Google Inc. (di seguito anche solo “Google”) adivano il Tribunale di Milano per ottenere l’annullamento di tale provvedimento, ritenendo non solo che l’ordine di deindicizzazione globale si ponesse in contrasto con l’ambito di applicazione della Direttiva 95/46/CE, ma, soprattutto, che il Garante avesse erroneamente basato le proprie argomentazioni sulla tutela del diritto all’oblio, sebbene l’interessato avesse invece lamentato lesione del diritto all’onore e alla reputazione.

Brevi cenni in materia di diritto all’oblio.

Determinati contenuti, una volta pubblicati sul web, diventano di pubblico dominio ed astrattamente idonei ad essere memorizzati per sempre, con conseguenti e non irrilevanti criticità da un punto di vista della reputazione online dell’interessato.

Si è posta l’esigenza, inizialmente avvertita a livello giurisprudenziale e poi recepita a livello normativo con il Regolamento UE 2016/679 sulla Protezione dei Dati Personali (“GDPR”), di tutelare il diritto di una persona fisica a chiedere ed ottenere la deindicizzazione dai risultati visualizzabili tramite il motore di ricerca di contenuti e notizie relative a fatti che lo riguardino.

È il c.d. “diritto ad essere dimenticati” dalla rete per fatti che in passato siano stati oggetto di cronaca ma che, a distanza di tempo, non siano più d’interesse pubblico.

Tale diritto risponde dunque all’esigenza di tutelare la riservatezza e l’identità personale attuale di un singolo, che ha interesse a non vedere più il proprio nome associato a precedenti informazioni reperibili online che tuttavia non rispecchino più la sua identità.

Trattasi, cioè, di un diritto di rango primario che, tuttavia, dev’essere necessariamente controbilanciato con altri interessi di pari rilevanza costituzionale (primo fra tutti il diritto di cronaca).

In considerazione di ciò, sin dalla sentenza “Google Spain v AEPD and Mario Costeja González”, la Corte di Giustizia ha stabilito quali debbano essere le condizioni necessarie per un corretto esercizio del diritto all’oblio, soprattutto ai fini di un contemperamento con il contrapposto diritto di manifestazione del pensiero, sub specie di libertà d’informazione.

Così, si è stabilito che, nei casi in cui le notizie siano attuali e di interesse pubblico, la libertà d’informazione dovrà comunque prevalere sull’interesse del singolo ad essere dimenticato; analogamente, laddove l’interessato ricopra all’attualità un ruolo e/o una carica pubblica, si ritiene preminente l’interesse a garantire una corretta informazione della collettività.

Per contro, l’interessato avrà diritto ad ottenere la deindicizzazione di determinati contenuti qualora gli stessi siano idonei ad arrecare un pregiudizio alla propria reputazione ed immagine e sussistano i seguenti presupposti: anzitutto, un apprezzabile lasso di tempo trascorso dai fatti menzionati nei link di cui si chiede la rimozione, l’inadeguatezza, la non attuale pertinenza e/o rilevanza e/o l’eccessività della notizia riportata.

In siffatte ipotesi, chi presta il servizio di motore di ricerca dovrà garantire che i contenuti ormai obsoleti o comunque irrilevanti siano rimossi dal web, con lo scopo di tutelare il preminente diritto dell’individuo a non essere ingiustamente danneggiato da eventuali notizie pregiudizievoli che lo riguardino (o che lo abbiano riguardato), indipendentemente dalla loro fondatezza.

Conclusioni

Con la sentenza in esame, il Tribunale di Milano ha sancito che il diritto del singolo alla de-indicizzazione di determinati contenuti dai risultati visualizzabili tramite il motore di ricerca sussiste anche quando non sia ancora trascorso il lasso di tempo necessario ai fini del diritto all’oblio, laddove detti contenuti siano lesivi del diritto all’identità personale dell’interessato.

Il Giudice ambrosiano ha quindi qualificato il diritto in parola non tanto quale estrinsecazione del diritto all’oblio, ma piuttosto come un aspetto funzionale del diritto all’identità personale, che coinvolge l’interesse del singolo al ridimensionamento della propria visibilità telematica, alla dis-associazione del proprio nome da un dato risultato di ricerca e, dunque, a non essere più trovato online.

È dunque possibile chiedere e ottenere la de-indicizzazione di notizie inesatte, non aggiornate, anche se ancora attuali, ed anche a prescindere dal diritto all’oblio.

Avv. Giulia Caruso

 

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