Non sussiste il delitto di cui all’art. 615-bis c.p. nel caso in cui la videoregistrazione di rapporti intimi sia stata effettuata quando l’agente e la persona offesa convivevano e le immagini non siano state diffuse a terzi.
(Cassazione penale Sez. V sent., 14/01/2008, n. 1766).
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Fatto e diritto
II ricorso denuncia: violazione di legge – vizio di motivazione, perché l’imputato doveva essere assolto con la formula «il fatto non costituisce reato». Afferma che «non possono essere considerate interferenze illecite le attività svolte consensualmente e scientemente da due soggetti, come nel caso di specie, anche se registrate da uno dei due con l’ausilio di una videocamera, perché rimangono comunque nel ristretto ambito degli stessi partecipanti alle attività riprese». Ed aggiunge che non è il tipo di attività che il legislatore intende punire, bensì le modalità con cui si carpiscono notizie attinenti la vita privata di ciascuno. E fa riferimento a giurisprudenza successiva a quella citata che sarebbe di diverso segno (Cass., Sez. V, 39827/06; 16189/04 e 18058/03, Sez. I, 25666/03). Osserva infine che lascia perplessi il comportamento dell’offesa che, se veramente avesse voluto evitare interferenze illecite nella sua vita privata, essendo la sola destinataria della cassetta, l’avrebbe distrutta e non resa pubblica tramite il processo.
Il ricorso è fondato.
L’articolo 615 bis CP punisce le «interferenze illecite nella vita privata».
Il 1° co. prevede ipotesi di pericolo anticipato, ravvisabile nella condotta dell’estraneo che si procuri, con strumenti di ripresa visiva o sonora, notizie o immagini di qualsiasi vicenda si verifichi in un luogo di privata dimora (ai sensi dell’articolo 614 CP), perciò offendendo indiscriminatamente la riservatezza di chiunque sia intraneo, seppure non coinvolto direttamente dalla notizia o dall’immagine ripresa. Il 2° co. concerne di più la rivelazione o la diffusione, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, delle stesse notizie o immagini come sopra procurate, affermando espressamente la sussidiarietà del reato.
La norma difatti è connessa, per lettera, ratio e sistema (vedi collocazione e rinvio), alla riservatezza assicurata in sé dal luogo privato, come incontroverso in giurisprudenza. Difatti la sentenza di questa Corte, Semitaio, citata in quella impugnata, afferma che «la norma (dell’art. 615 bis CP) tende a tutelare la riservatezza della vita individuale contro le interferenze illecite nella vicenda privata di ognuno, ma sempre che tali interferenze provengano da terzi, rimasti estranei alla conversazione, oggetto di registrazione». Dunque pone l’accento sull’impossibilità di rilevare interferenza nella propria vita privata della persona ammessa a farvi parte, sia pur estemporaneamente, in condizione di reciprocità. L’altra sentenza citata di questa Corte (P.G. in proc. Cirà) puntualizza proprio la relazione tra luogo e vita privata, affermando «legittimata a proporre querela contro estranei anche una persona non ripresa, ma partecipe della vita privata nella stessa dimora» nel caso il marito di una signora abusivamente fotografata.
Ne segue che il convivente, pure non direttamente coinvolto dalla ripresa, può ritenersi personalmente offeso da chi, estraneo al luogo, si sia procurato immagini della vita privata di altri che ivi si svolga. Ed è anche irrilevante che poi la convivenza tra lui e la persona ripresa sia cessata. Per contro non si vede come attribuirgli il reato per la ripresa di immagini che concernono anche la sua persona nell’ambiente ad entrambi riservato.
Va infine osservata l’assoluta irrilevanza dell’oggetto delle riprese. Ai sensi dell’articolo 615 bis CP, il concetto di “vita privata” si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato. Pertanto, le immagini o le notizie che l’agente si procura possono consistere sia in comportamenti che fuori di ambiente privato sarebbero ritenuti offensivi del pudore, che altri ivi consentiti.
Insomma, come icasticamente rappresenta il ricorso, è vita privata il sorseggiare un caffè in compagnia in casa propria, non meno che avervi rapporti sessuali. E tanto dimostra l’intento del legislatore di tutela della riservatezza, a fronte dei non rari abusi di taluni organi di comunicazione a mezzo stampa o etere, per profittare della curiosità degli utenti su quanto talune persone fanno riservatamente.
Orbene, alla luce di questa premessa di diritto, poiché la sentenza ricostruisce in fatto che le vicende sono state registrate all’epoca in cui l’imputato che ha operato le riprese e la persona coinvolta convivevano, e che le immagini di cui la prima disponeva non risultano diffuse, ma solo rimesse all’altra, non si ravvisano estremi di reato.
E tanto rende necessario decidere ai sensi dell’art. 129 CPP.
annulla senza rinvio l’impugnata sentenza, perché il fatto non sussiste.
Depositato in cancelleria il 14 gennaio 2008.