Se la banca, per un disguido, non dà comunicazione al gestore telefonico dell’avvenuto pagamento di una bolletta, è questi, e non l’utente, che deve attivarsi per verificare se il pagamento sia in effettui avvenuto. E’ contrario a buona fede il comportamento del gestore che, non avendo ricevuto notizia dalla banca del pagamento, effettui immediatamente il distacco della linea telefonica senza verificare se il pagamento sia stato eseguito.

(Cassazione civ. Sez. III, 08/11/2007, n. 23304).

 
Il principio dell’insindacabilità della liquidazione equitativa del danno in sede di giudizio di legittimità non trova applicazione quando nella sentenza di merito non sia stato dato conto del criterio utilizzato, la relativa valutazione risulti incongrua rispetto al caso concreto e la determinazione del danno sia palesemente sproporzionata per difetto o per eccesso (Cassa con rinvio, App. Roma, 25 Novembre 2003).


Cass. civ. Sez. III Sent., 08-11-2007, n. 23304

Testo della sentenza

(omissis)

Svolgimento del processo

Con sentenza 12-25 novembre 2003 la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Rieti del 14 luglio – 5 settembre 2000, condannava la TELECOM spa a pagare all’appellante C.L. la somma di Euro 309.870,41 per i danni causati dal mancato funzionamento della linea telefonica (dopo aver riconosciuto che la morosità denunciata dalla società con riferimento al primo bimestre 1995 doveva considerarsi in realtà inesistente).

Avverso tale decisione ha proposto ricorso la TELECOM con due motivi di ricorso.

Resiste C. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, cui resiste TELECOM con controricorso.

Motivi della decisione

Devono innanzi tutto essere riuniti i due ricorsi, proposti contro la medesima decisione.

Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia violazione di legge in relazione all’art. 1375 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contradditoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

I Giudici di appello avevano rigettato l’appello incidentale proposto da TELECOM precisando che la società avrebbe dovuto svolgere ulteriori accertamenti in ordine al mancato pagamento della utenza telefonica, essendosi verificato un inconveniente inusuale (consistente nella mancata comunicazione del pagamento del C. da parte della Banca). In tal modo la società non si era comportata secondo i principi di correttezza e buona fede.

TELECOM, osserva in contrario la ricorrente principale, è una struttura complessa. Sarebbe stato onere dell’utente, una volta ricevuto l’avviso che non risultava pervenuto il pagamento della bolletta precedente, accertare la veridicità di tale circostanza, ponendo quindi anche la TELECOM in condizioni di poter assumere informazioni presso la banca.

Il motivo è privo di fondamento.

Una volta eseguito il pagamento, non si vede quale ulteriore attività avrebbe potuto o dovuto svolgere il C..

Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e con-traddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Non era mai stato dimostrato che le trattative intraprese dal C. con il commerciante coreano, K.S. avrebbero portato alla stipulazione di un contratto di società tra i due, nè che lo stesso avrebbe avuto comunque durata non inferiore a tre anni, nè infine che al C. sarebbe stata garantito il guadagno netto annuo minimo di duecento milioni.

Le censure sono fondate.

La liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale (Cass. n. 15676 del 2005).

Secondo Cass. n. 1443 del 2003, "La liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale.

Occorre pertanto che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece – anche semplicemente in considerazione dell’"id quod plerumque accidit" – connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità.

Nulla di tutto ciò è possibile rinvenire nella sentenza della Corte d’appello romana, che non svolge alcuna considerazione sul punto della elevata probabilità di perdita di sicuro guadagno da parte del C..

Sotto altro, subordinato, profilo, va ricordato che la valutazione equitativa del danno non equivale, come invece sembra ritenere la Corte territoriale, a mero arbitrio.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale l’esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al Giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità. (Cass. 8807 del 2001, 409 del 2000).

Tale principio, tuttavia, può trovare applicazione solo nei casi in cui il Giudice dia conto del criterio equitativo utilizzato, la valutazione sia congruente al caso, la concreta determinazione dell’ammontare del danno non sia palesemente sproporzionata per difetto od eccesso (Cass. 13066 del 2004).

Nel caso di specie la Corte territoriale non ha spiegato le ragioni per le quali, a fronte di una liquidazione del danno operata dal primo giudice in L. 20.000.000 ha ritenuto di riconoscere un risarcimento pari a trenta volte la somma originariamente liquidata, sulla base di una testimonianza "de relato" che riferisce di favolosi (possibili) guadagni perduti dal C. solo a causa del momentaneo distacco della linea telefonica.

Nel caso di specie, è rimasta assolutamente sfornita di prova la affermazione secondo la quale i due commercianti avrebbero raggiunto un accordo circa la costituzione di una società (manca qualsiasi documento scritto e qualsiasi particolare sulle modalità con le quali una attività del genere, che tra l’altro necessita di particolari autorizzazioni e permessi da parte delle Autorità di Pubblica sicurezza, avrebbe dovuto essere svolta dal C. insieme con il socio coreano).

Sul punto manca ogni spiegazione in proposito nella sentenza impugnata.

Nella motivazione non vi è alcun accenno nè una (congrua) spiegazione delle ragioni per le quali dalla futura attività di commercio di preziosi (non meglio descritta o qualificata) sarebbe comunque derivato un guadagno netto annuo per il C. di L. 200 milioni.

Il tutto, secondo la sentenza di appello, dovrebbe trovare la sua indiretta conferma nelle dichiarazioni di un teste che, all’aeroporto di (OMISSIS), incontrando "casualmente" l’aspirante socio del C., K.S., avrebbe ricevuto da quest’ultimo l’ammissione che egli non aveva voluto stringere un accordo associativo con il C. per la – unica – ragione che egli non si era dimostrato affidabile, mancando persino del danaro necessario per attivare una linea telefonica.

Sarebbe stato lo stesso K.S., ha riferito il teste, ad assicurare il C. che dalla nuova attività sarebbe derivato un guadagno netto, per il solo C., di oltre L. 200 milioni annui.

Di più. Nella sentenza non sono riportate le ragioni per le quali il giudice di appello ha indicato in tre anni la durata di un contratto di società, avente ad oggetto preziosi.

Sul punto, con motivazione apodittica, la Corte territoriale si è limitata a invocare, inammissibilmente, il fatto notorio sotto forma dell’ "id quod plerumque accidit".

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4862 del 2005):

“Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè controllati, va inteso in senso assolutamente rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile.

Di conseguenza, non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, nè quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del Giudice, poichè questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione d’analoghe controversie (Conf. Cass. n. 3160 del 1986 e 3829 del 1982).

Avendo completamente ignorato le indicazioni che emergono dalle decisioni richiamate, la sentenza merita pertanto di essere cassata, in relazione alle censure accolte con il secondo motivo del ricorso principale.

Il ricorso incidentale deve invece essere rigettato.

Con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 2043 c.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare, il C. censura l’entità della liquidazione del danno patrimoniale operata dai giudici di appello, con riferimento alla durata presumibile di tre anni della società che il C. avrebbe dovuto costituire con il K..

Il motivo di ricorso non merita accoglimento, per le ragioni già indicate in precedenza.

Secondo quanto già osservato, il giudice di rinvio dovrà stabilire, innanzi tutto se un danno patrimoniale sia stato effettivamente causato dal distacco della linea telefonica alla attività commerciale del C..

Solo una volta accertata l’esistenza di tale danno, lo stesso giudice potrà procedere, eventualmente anche con liquidazione equitativa, alla determinazione dello stesso attenendosi ai rigorosi criteri già specificati.

Il Giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi.
Rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo motivo del ricorso principale. Rigetta il ricorso incidentale.
Cassa, in relazione alle censure accolte, rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2007

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