ict privacy

Non tutti sanno che in Italia la legge impone a chi fabbrica o importa nel territorio apparecchi di registrazione, memorie e supporti vergini il pagamento del cosiddetto “compenso per copia privata” (C.C.P.). Si tratta di un importo riscosso dalla SIAE e corrisposto – secondo un sistema piuttosto articolato, che vedremo dopo – ai titolari del diritto d’autore su opere dell’ingegno. Più nel dettaglio, si tratta di autori e produttori di fonogrammi, produttori originari di opere audiovisive, artisti interpreti ed esecutori (questi ultimi, per brevità, indicati con la sigla A.I.E., artisti – interpreti – esecutori), produttori di videogrammi e i loro aventi causa.

L’idea alla base dell’istituto è, appunto, il fatto che gli acquirenti di quei prodotti con tutta probabilità li useranno anche per effettuare delle copie di opere tutelate dal diritto d’autore ad uso privato. Imponendo questo “balzello”, dunque, i titolari del diritto d’autore potrebbero ricevere una sorta di indennizzo.

Com’è intuibile, tale meccanismo ha generato – e continua a generare – non poche polemiche. Esso, infatti, finisce per far lievitare i prezzi di pc, smartphone, lettori mp3, hard disk e chiavette USB, sulla base di una presunzione che non sempre si rivela giusta: per fare un esempio, il C.C.P. grava anche su chi utilizza tali dispositivi per riprodurre esclusivamente materiali propri!

Come se le critiche alla legittimità stessa del meccanismo non fossero abbastanza, poi, al quadro di criticità del C.C.P. va aggiunto un altro tassello: con un recente provvedimento del 2 febbraio scorso, infatti, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.) ha deliberato l’avvio di istruttoria nei confronti di SIAE ed altri enti del settore per verificare l’effettiva adozione di pratiche anticoncorrenziali nella gestione del C.C.P.

Prima di addentrarci nella vicenda, però, approfondiamo meglio un paio di aspetti indispensabili per comprendere a pieno la questione.

Il compenso per copia privata: il sistema di distribuzione

L’entità del C.C.P. è attualmente stabilita dal Decreto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo del 30 giugno 2020, Determinazione del compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi.

Il resto della disciplina, invece, è ben più risalente nel tempo ed è prevista dalla Legge sul Diritto d’Autore (artt. 71-sexies, 71-septies, 71-octies l. 22 aprile 1941 n. 633), che, come anticipato, impone ai produttori e agli importatori di apparecchi destinati alla registrazione analogica o digitale di versare alla SIAE il C.C.P.. Essi, ogni tre mesi, devono trasmettere alla SIAE una dichiarazione dalla quale risultino le “cessioni effettuate e i compensi dovuti” e, contestualmente, corrispondere le relative somme.

La SIAE, a sua volta, procederà a distribuirle agli aventi diritto.

Nel caso degli autori la corresponsione del C.C.P. è immediata, dal momento che è la SIAE stessa a rappresentare la categoria. Diverso discorso, invece, vale per produttori e A.I.E., che si servono di diversi organismi di rappresentanza e di gestione dei propri diritti. In questo caso, la SIAE devolverà il CCP a un intermediario (un’associazione di categoria o una società di “collecting”) che, a sua volta, distribuirà i compensi a produttori, artisti interpreti ed esecutori che ne fanno parte.

La normativa, poi, distingue tra il CCP relativo al settore audio e il CCP settore video, prevendendo diverse percentuali di ripartizione delle somme.

La gestione del CCP e la liberalizzazione del mercato

Pare opportuno, inoltre, fare un breve cenno all’evoluzione dei mercati relativi alla gestione dei diritti d’autore, dei diritti connessi e del compenso per copia privata.

Le normative di riferimento sono la direttiva Barnier e il d.lgs. n. 35/2017, che l’ha recepita nell’ordinamento italiano. Con tali atti è stata definita una cornice giuridica nella quale le collecting possono operare, a condizioni analoghe, su tutto il territorio dell’Unione europea.

Si è così superato il precedente sistema sostanzialmente incentrato sul monopolio della SIAE ex art. 180 L. 633/1941, consentendo lo svolgimento di attività di gestione dei compensi anche da parte degli organismi di gestione collettiva. Utilizzando le parole dell’AGCM, tali provvedimenti hanno “ridisegnato il settore, superando, per quanto qui rileva, categorie rigide di compartimentazione e ponendo al centro la libertà del titolare di scegliere a quale collecting affidare la gestione dei propri diritti d’autore, dei diritti connessi e del compenso per copia privata” (A.G.C.M. – Provvedimento n. 28548 del 2 febbraio 2021).

l fatti contestati: i soggetti coinvolti

Veniamo, dunque, al vivo della questione.

In primo luogo, va premesso che la vicenda in esame ha origine dalle denunce ad AGCM di Videorights S.r.l. e Delta TV Programs S.r.l..

La prima società è una collecting attiva nella gestione dei diritti d’autore e dei diritti connessi riconducibili alle categorie degli autori e dei produttori audiovisivi. La seconda, invece, è una società di produzione di opere audiovisive per la TV (in particolare, fiction).

I denunciati, invece, sono, oltre alla SIAE, l’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali (ANICA), l’Associazione Produttori Audiovisivi (APA) e Univideo. Si tratta di associazioni di categoria, il cui scopo è rappresentare gli affiliati nei rapporti con le istituzioni e con altri enti operanti nel settore (ad esempio, sindacati o network televisivi). Sono state chiamate in causa, infine, le società di gestione dei compensi per copia privata ANICA Servizi S.r.l, APA Service S.r.l. e Agenzia per lo Sviluppo dell’Editoria Audiovisiva S.r.l., controllate dalle predette associazioni di categoria.

Le condotte contestate

Secondo quanto riportato da Videorights e Delta TV, dunque, SIAE e le associazioni di categoria, anche attraverso le società controllate, avrebbero ostacolato l’ingresso delle collecting che intendevano gestire, per conto dei propri iscritti, il C.C.P. e, di fatto, avrebbero così ostacolato la libertà degli aventi diritto di scegliere a quale soggetto affidarsi. Ciò sarebbe avvenuto per il tramite di accordi con la SIAE molto risalenti (rispettivamente del 1998 e del 1993) e ancora in vigore.

In particolare, SIAE avrebbe escluso completamente Videorights dal riparto del C.C.P., anche per la quota spettante agli iscritti alla stessa, distribuendo gli incassi in via diretta solo alle predette associazioni e alle relative società controllate. La collecting, dunque, si sarebbe dovuta rivolgere alle associazioni di categoria per recuperare le somme spettanti ai propri iscritti, e queste ne avrebbero a loro volta ostacolato l’operato in diversi modi. Ad esempio, le associazioni avrebbero in alcuni casi omesso o ritardato notevolmente la corresponsione delle somme. In altri, avrebbero addebitato a Videorights i costi di gestione dei C.C.P., decurtano in ultima istanza le somme percepite dai titolari dei diritti. Inoltre, le associazioni di categoria avrebbero tenuto un atteggiamento poco trasparente circa gli importi ricevuti di SIAE e, addirittura, in alcuni casi avrebbero contattato direttamente le imprese mandanti di Videorights, cercando di offrir loro i propri servizi.

Le valutazioni dell’AGCM

Considerate le condotte contestate, AGCM ha rilevato una possibile violazione dell’articolo 101 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’UE) per esser stata attuata un’intesa restrittiva della concorrenza. Ciò che sarebbe emerso, in particolare, sarebbe “il permanere in vita di un sistema chiuso e ancorato a logiche monopolistiche, con tutti i riflessi negativi che lo stesso reca quanto a concorrenzialità e qualità dei servizi offerti dalle collecting, e in termini di perdita di benessere dei consumatori, vale a dire degli autori, degli AIE e dei produttori di opere cinematografiche, televisive e audiovisive”. Ciò, peraltro, con evidenti riflessi anche sul commercio tra gli Stati membri dell’Unione Europea, tanto da indurre l’Autorità a richiamare il concetto di pregiudizio al commercio intracomunitario.

Conclusioni

Come si è visto, le condotte contestate hanno un certo peso, anche in considerazione del carattere sistematico e non occasionale delle stesse. Per il momento, tuttavia, l’A.G.C.M., con provvedimento n. 28548 del 2 febbraio 2021, si è limitata ad avviare l’istruttoria nei confronti della SIAE, delle associazioni di categoria coinvolte e delle relative società controllate.

La vicenda, dunque, sarà approfondita ulteriormente e non rimane che attendere per vedere se, effettivamente, il sistema attualmente in vigore leda la libera concorrenza nel mercato e sia contrario ai principi che ispirano la normativa vigente.

Redazione di Diritto dell’Informatica

 

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