Il D.L. 193/2016 (convertito in L. 225/2016), legato alla legge di bilancio dell’anno corrente, ha apportato un’importante modifica all’articolo 60 del D.P.R. 600/1973 contente le disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

Questa norma, infatti, in deroga a quanto previsto dall’art. 149-bis c.p.c., ha introdotto la possibilità, per l’Agenzia delle Entrate, di notificare avvisi di accertamento e altri atti di carattere impositivo, via PEC (“[…]la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato può essere effettuata direttamente dal competente ufficio con le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo di posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata […]”).

Tra gli atti suddetti rientra anche la notifica delle cartelle esattoriali di pagamento. Tipologia di notifica che, perç, come può desumersi dalle recenti pronunce delle Commissioni Tributarie Provinciali, fatica ad essere accettata dalla giurisprudenza di merito maggioritaria, che continua, in molti casi, a dichiararne la nullità.

Vero è che la posta elettronica certificata ha lo stesso valore legale della raccomandata, in quanto garantisce, come quest’ultima, la piena prova dell’avvenuto invio e ricevimento del suo contenuto. Tuttavia, le maggiori problematiche sono legate proprio alla prova del contenuto: la PEC, infatti, fa piena prova esclusivamente del testo del messaggio inserito e non per gli allegati che, di per sé, rappresentano semplici copie dell’atto originale.

Quanto detto sta a significare che, quando non vengono rispettati i requisiti formali richiesti dalla legge per la comunicazione del provvedimento amministrativo via PEC, questo, su eccezione del contribuente, potrà essere dichiarato nullo.

E’ proprio questo vizio procedurale riscontrato nella notifica delle cartelle di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate ai contribuenti che ha spinto più volte le Commissioni Tributarie di merito a dichiararne la nullità.

 

La giurisprudenza

Dunque, nonostante la legge consenta l’utilizzo della PEC per la notifica delle cartelle di pagamento, i vari Tribunali continuano a dichiarare la nullità della notifica, e di conseguenza della cartella, tra i vari motivi, primo tra tutti è quello del formato del file contenente la cartella di pagamento: la nullità deriva semplicemente da una sbagliata interpretazione della legge da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Per comprendere quanto anticipato bisogna partire dal dettato del Codice dell’Amministrazione Digitale che richiede, all’articolo 20, come elemento validante per la trasmissione di un documento informatico, la possibilità di identificare chi l’abbia sottoscritto digitalmente: è dunque necessario, affinchè il documento allegato alla PEC possa essere ritenuto valido dal giudice, che questo abbia una sottoscrizione digitale (“1.  Il documento informatico da chiunque formato, la memorizzazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici conformi alle regole tecniche di cui all’articolo 71 sono validi e rilevanti agli effetti di legge, ai sensi delle disposizioni del presente codice. 1-bis.  L’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”).

Le varie Commissioni Tributarie Provinciali (es. sent. 204/2017 CTP Reggio Emilia; sent. 1023/2016 CTP Milano; sentt. 100-101/2017 CTP Savona), analizzando una lunga serie di documenti informatici, sono arrivate principalmente alle stesse conclusioni.

In linea con quanto stabilito dai due commi dell’articolo appena analizzato, sono state più volte dichiarate nulle le notifiche degli atti, con relativo annullamento della cartella di pagamento, in quanto gli allegati alla PEC erano privi di firma digitale.

Nei casi citati veniva contestato il formato della cartella di pagamento, allegata in pdf e non in p7m, dunque non firmato digitalmente.

Infatti, solamente il file con estensione p7m è un file contenente una firma digitale: per aprire questo peculiare formato è necessario che sul pc del contribuente, a cui è rivolto l’atto, sia presente un particolare software che consenta di visualizzarlo e leggerlo e, dunque, di verificarne firma e provenienza.

Il pdf, al contrario, può essere aperto su qualsiasi pc e non garantisce l’integrità e l’immodificabilità del file.

Pertanto, è solamente il formato p7m che garantisce con certezza assoluta, da un lato, l’identificabilità e la paternalità del suo autore e, dall’altro, assicura la immodificabilità del file, che diversamente rappresenterebbe una semplice copia di cui non sarebbe possibile provare con certezza il contenuto: solo l’atto firmato digitalmente fa piena prova fino a querela di falso ai sensi dell’art. 2702 c.c..

Quando, invece, il formato del file modificato difetta della firma digitale, spetta alla Commissione Tributaria competente stabilire se il documento notificato possa essere considerato conforme all’originale o meno e, di conseguenza, dichiarare se la notifica sia da ritenere invalida (in tal caso il vizio si estende fino alla stessa cartella che deve essere dichiarata nulla).

Per concludere, è da sottolineare che, in alternativa, sarebbe possibile copiare direttamente sul corpo della mail certificata il contenuto della cartella di pagamento, in quanto, in base a quanto stabilito dal D.P.R. n. 68/2005, la PEC garantisce l’integrità e l’autenticità del messaggio in essa inserito (art. 9 :”1. Le ricevute rilasciate dai gestori di posta elettronica certificata sono sottoscritte dai medesimi mediante una firma elettronica avanzata ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera dd), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, generata automaticamente dal sistema di posta elettronica e basata su chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente di rendere manifesta la provenienza, assicurare l’integrità e l’autenticità delle ricevute stesse secondo le modalità previste dalle regole tecniche di cui all’articolo 17. 2. La busta di trasporto e’ sottoscritta con una firma elettronica di cui al comma 1 che garantisce la provenienza, l’integrità e l’autenticità del messaggio di posta elettronica certificata secondo le modalità previste dalle regole tecniche di cui all’articolo 17.”).

 

 

Dott. Luigi Dinella

 

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