
La normativa di riferimento è molto vecchia: addirittura il regio decreto legge n. 246 del 21 febbraio 1938, poi convertito dalla legge n. 880 del 4 giugno 1938. L’art. 1, comma 1, di tale decreto legge dispone che "chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento".
Il legislatore degli anni trenta non poteva neanche immaginare che l’evoluzione tecnologica si sarebbe spinta sino ai limiti odierni. Sicuramente non aveva previsto che si sarebbe potuto telefonare con dei minuscoli telefoni – e che gli stessi avrebbero potuto permettere anche la visioni di filmati. Neanche l’esistenza dei computer e della rete Internet era presumibile in quegli anni.
Il decreto legge, però, è ancora vigente: infatti non vi sono state modifiche. A questo punto sorge una (legittima) questione: personal computer e telefoni cellulari rientrano nell’ambito di applicazione di questa norma? In altri termini, se possiedo un personal computer o un videofonino, devo pagare il canone RAI?
Secondo la Corte di cassazione, "il canone di abbonamento radiotelevisivo non trova la sua ragione nell’esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che leghi il contribuente, da un lato, e l’Ente Rai, che gestisce il servizio pubblico radiotelevisivo, dall’altro, ma costituisce una prestazione tributaria, fondata sulla legge, non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio de quo" (Cass. civ. Sez. Unite, 20/11/2007, n. 24010).
Sul punto, la Corte costituzionale ha affermato che "se in un primo tempo sembrava prevalere la configurazione del canone come "tassa", collegata alla fruizione del servizio, in seguito lo si è piuttosto riconosciuto come imposta, facendo leva sulla previsione legislativa dell’art. 15, secondo comma, della legge n. 103 del 1975, secondo cui il canone è dovuto anche per la detenzione di apparecchi atti alla ricezione di programmi via cavo o provenienti dall’estero (sentenza n. 535 del 1988). Sul piano costituzionale, ciò comporta che la legittimità dell’imposizione debba misurarsi non più in relazione alla possibilità effettiva per il singolo utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo, al cui finanziamento il canone è destinato, ma sul presupposto della sua riconducibilità ad una manifestazione, ragionevolmente individuata, di capacità contributiva" (Corte cost., 26/06/2002, n. 284).
La legge non lascia scampo: un personal computer è sicuramente adattabile alla ricezione di radioaudizioni. Ciò è possibile in maniera alquanto semplice, mediante schede da inserire internamente ai computer o grazie a dispositivi collegati via USB. Visto che la norma fa riferimento al requisito dell’adattabilità, in punto di diritto la RAI può ottenere il pagamento del canone anche da tutti coloro che possiedono un computer senza scheda tv! L’assurdità di una simile disposizione appare ben chiara…
E i telefonini? Mentre un computer può agevolmente captare il segnale televisivo grazie a tali aggiunte, sicuramente la maggior parte dei cellulari non è adattabile alla ricezione di segnali simili. Sui videofonini la questione si fa più complessa e la RAI potrebbe effettivamente esigere il pagamento del canone. Bisogna però rilevare che una simile condotta appare ingiusta, poiché si fa pagare anche chi non usufruise del servizio pubblico. Tuttavia, come abbiamo visto, la giurisprudenza la pensa in modo diverso, purtroppo!
Bisogna solo sperare che nella prossima legislatura sia riproposta ed approvata la proposta di legge n. 2493 (primo firmatario On. Murgia): in tal caso, il canone RAI non sarebbe dovuto per la detenzione di personal computer o di telefonini adattati o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni.