free_software_open_sourcedi Antonio Florio

Il software o programma per elaboratore è tutelato dalla legge sul diritto d’autore come opera letteraria, “in qualsiasi forma espresso, purché originale quale risultato di creazione intellettuale dell’autore”.

Come tutti i beni in senso giuridico, anche il programma per elaboratore può essere oggetto di vendita, più precisamente possono essere ceduti dietro corrispettivo tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera, restando in capo all’autore i diritti morali (indisponibili ed imprescrittibili).


Di solito, però, le software house concedono agli utenti il diritto di utilizzare il software in modo non esclusivo, a tempo indeterminato e dietro un corrispettivo una tantum, attraverso una c.d. licenza d’uso.

Con la licenza d’uso l’utilizzatore non acquista la proprietà del software, ma solo il diritto di usarlo in modo limitato, in base alle condizioni d’uso previste nella stessa licenza.

Sorge, quindi, il problema di stabilire quale sia la valenza giuridica di queste licenze.

Escludendo ogni autonomia concettuale, parte della dottrina riconduce la licenza d’uso di software (o contratto di licenza d’uso di software) alla figura della locazione, altra parte, invece, alla compravendita.

Accanto a questi modelli di licenza tipici del software c.d. proprietario, si stanno imponendo nel mondo dell’informatica schemi negoziali che concedono all’utilizzatore del programma per elaboratore, in modo non esclusivo, l’accesso completo al codice sorgente e l’utilizzazione del software senza limitazioni e senza alcun corrispettivo per l’uso (salva la possibilità di un corrispettivo per la distribuzione), c.d. Open Source.

Mentre le licenze di tipo proprietario si basano sulla disciplina del diritto d’autore (copyright) per concedere agli utenti solo alcune facoltà di utilizzazione dell’opera, mantenendo in capo al titolare i diritti esclusivi di utilizzazione economica della stessa; le licenze di software libero con permesso d’autore (copyleft) utilizzano il diritto d’autore per garantire a chiunque la possibilità di copiare, modificare e migliorare il software e di ridistribuirlo al fine di permettere a tutta la comunità di godere dei risultati raggiunti, evitando al tempo stesso che terzi possano utilizzare il codice sorgente per realizzare software proprietario.

Larga parte del software Open Source è software libero. Si può, infatti, distinguere tra Free Software e Open Source Software. Anche se nella pratica i due movimenti sono abbastanza vicini, tuttavia non sono la stessa cosa, basandosi su valori fondamentalmente diversi [1].

La definizione ufficiale di software Open Source deriva dai criteri per il software libero, ma mentre l’Open Source è una metodologia di sviluppo, il software libero è un vero e proprio movimento sociale.

Per la Free Software Foundation [2] il software non libero è un problema sociale e la soluzione a questo problema è rappresentata dal software libero, l’unico che rispetta la libertà degli utenti.

La filosofia dell’Open Source, invece, pensa a come “migliorare” il software soltanto dal punto di vista pratico, affermando che la possibilità per gli utenti di apportare modifiche al software e di ridistribuirlo rende il software più potente e più affidabile.

L’ideologia Open Source e più precisamente dell’Open Source Initiative [3], quindi, è più permissiva rispetto al Free Software ricomprendendo nel suo ambito alcune licenze inaccettabili per il software libero in quanto troppo restrittive per gli utenti.

Anche se il termine Open Source (sorgente aperto) indica essenzialmente l’accessibilità al codice sorgente del software, né il software libero né l’OSI possono essere ridotti a tale accezione. L’accessibilità, infatti, è concessa da molte licenze che non rientrano assolutamente nei parametri del software libero o dell’OSI.

Entrando più nel dettaglio, occorre analizzare i diritti riconosciuti dai due movimenti all’utilizzatore del software. Un programma si può definire Free Software quando può essere [4]:

– eseguito per qualsiasi scopo;

– copiato;

– studiato nel suo funzionamento e adattato alle proprie necessità;

– distribuito in copie in modo da aiutare il prossimo;

– modificato, migliorato e distribuito in copie in forma modificata, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio.

Come si può notare, l’accesso al codice sorgente è fondamentale per l’esercizio di alcuni diritti. La distribuzione del software libero deve includere, quindi, le forme binarie o eseguibili del programma ed il codice sorgente, sia per le versioni integrali, sia per quelle modificate. E’ consentita, comunque, la previsione all’interno delle licenze di alcune regole sulla distribuire o “ridistribuzione” del software, purché non entrino in conflitto con le principali libertà.

L’accesso al codice sorgente, però, anche se fondamentale, non è l’unica caratteristica del Free Software, che ricomprende anche la possibilità per chiunque, conformemente alla licenza, di usare, copiare, modificare e distribuire il software, sia gratuitamente, sia dietro un compenso.

Tutte queste libertà, però, per essere effettive devono essere irrevocabili, almeno fino a quando non si violino le condizioni previste nella licenza.

Software libero, inoltre, non vuol dire software non commerciale, un programma libero deve essere disponibile anche per uso commerciale e non vuol dire soprattutto software gratuito [5], quando si parla di Free Software il termine Free sta per libertà (come libertà di parola) e non per gratuità.

Solitamente si crede, infatti, che lo spirito del Free Software sia quello di non far pagare per la distribuzione delle copie del software o di far pagare il meno possibile, “il minimo per coprire le spese”. In realtà la FSF consente di distribuire software libero a pagamento, senza imporre limiti di prezzo [6].

Dalla filosofia del Free Software deriva il c.d. copyleft (permesso d’autore), non necessariamente, però, il software libero deve essere accompagnato dal copyleft [7].

Il Permesso d’autore è la regola per la quale: l’utente che intende ridistribuire il software originario o un software basato sul software originario non può aggiungere alla licenza restrizioni ulteriori rispetto alle condizioni previste nella licenza originaria [8].

Per garantire effettività a una tale regola, dapprima si stabilisce che il software è protetto da copyright, per impedire che il codice possa essere inserito in software proprietari, poi si aggiungono i termini di distribuzione, che attribuiscono a chiunque i diritti di usare, modificare e ridistribuire il programma, ma solo riconoscendo agli altri, a loro volta, gli stessi termini di distribuzione.

Si è parlato dunque di “effetto virale” [9] delle licenze con permesso d’autore, per indicare l’effetto derivante dalla combinazione di codice protetto da copyleft con codice non protetto da copyleft. Attraverso tale combinazione il “codice non copyleft” diverrebbe automaticamente “codice copyleft“. Per giungere a questo risultato, però, è necessario che le licenze dei due codici siano compatibili [10], oppure che il titolare dei diritti sul “codice non copyleft” dia il suo consenso. Senza queste condizioni non può esserci alcun contagio.

Secondo parte della dottrina [11], il copyleft farebbe sorgere in capo al licenziatario delle vere e proprie obbligazioni, in particolare nel caso di distribuzione di software derivato dal programma originario, obbligazioni che limitando la possibilità di sfruttamento economico dell’opera derivata dovrebbero essere oggetto di specifica manifestazione di volontà. Sarebbero, dunque, proprio le dette limitazioni a rivelare la natura contrattuale delle licenze contenenti il permesso d’autore [12].

Come il software libero anche il software Open Source è software distribuito con una licenza che ne consente la libera distribuzione in forma sorgente e conferisce all’utente la possibilità di modificare il programma originario e di distribuire la versione modificata. I termini della distribuzione del software per essere conformi ai principi dell’Open Source devono rispettare i seguenti criteri [13] :

– la distribuzione del programma deve essere libera, la licenza non deve limitare i diritti di vendere o regalare il software e non deve prevedere una royalty o un’altra somma per tale vendita;

– la distribuzione del programma deve comprendere sia il codice eseguibile, sia il codice sorgente, o quanto meno il codice sorgente deve essere facilmente reperibile ed i mezzi per ottenerlo devono essere adeguatamente pubblicizzati.

– la licenza deve permettere la modificazione dei programmi originali e la creazione di programmi derivati con la distribuzione degli stessi nei termini previsti dalla licenza del software originario;

– la licenza può prevedere restrizioni alla distribuzione del codice sorgente modificato solo se permette la distribuzione di patch files assieme al codice sorgente originale, allo scopo di permettere modifiche (automatiche) al programma in fase di compilazione, e può richiedere che i lavori derivati abbiano un nome diverso o un numero di versione differente dal software originale;

– la licenza non deve discriminare persone o gruppi di persone;

– la licenza non deve discriminare campi di utilizzo;

– i diritti sul programma si devono applicare a tutti coloro ai quali il programma è distribuito senza bisogno dell’emissione di ulteriori licenze;

– se il programma licenziato è parte di una determinata distribuzione software, la licenza non deve essere specifica per tale distribuzione, ma deve garantire a chiunque riceva il programma gli stessi diritti garantiti con la distribuzione originaria;

– la licenza non deve contaminare un altro software che viene distribuito con il software Open Source;

– la licenza deve essere tecnologicamente neutrale.

Mentre nell’ambito dell’Open Source Initiative esiste una vera e propria Open Source Definition; la Free Software Definition si basa invece sulla GNU General Public License (GPL) [14] e riconosce come software libero solo software rilasciato sotto altre licenze compatibili con le previsioni di quest’ultima.

Le licenze di tipo Open Source e Free Software possono essere distinte in 2 categorie:

– licenze di tipo non protettivo, che consentono l’utilizzo del codice sorgente in applicazioni non Open Source e che non limitano in alcun modo la distribuzione dei prodotti derivati;

– licenze di tipo protettivo, che, invece, al fine di assicurare che il codice resti libero o aperto, prevedono restrizioni alla ridistribuzione dei prodotti derivati (es. GPL).

Viste le caratteristiche fondamentali del F/OSS, ci si chiede se il modello negoziale da questi adottato sia ancora qualificabile come licenza, dato che la licenza sembra implicare uno scambio di prestazioni tra le parti. Nelle “licenze” per il software Open Source e per il Free Software c’è uno stravolgimento della causa, del sinallagma e più in generale dell’equilibrio degli schemi contrattuali [15].

Trovare una soluzione generale, valida per tutte le licenze, al problema della qualificazione giuridica delle licenze F/OSS non sembra possibile. Occorre tenere in considerazione i termini ed i contenuti delle singole licenze.

La dottrina americana, quasi all’unanimità, qualifica le licenze relative al software come standard-form contract, senza distinguere tra software proprietario e F/OSS.

Il movimento per il software libero, invece, rivendica la natura di true licence per le licenze Free Software, in modo particolare per la GNU GPL [16].

Presupposto delle argomentazioni addotte dai sostenitori del software libero è che l’essenza del diritto d’autore è quella di tutelare il titolare dei diritti di sfruttamento economico dell’opera, impedendo a terzi tutta una serie di attività (tra cui la copia, la distribuzione e la creazione di lavori derivati) senza apposita autorizzazione. In base al diritto d’autore, quindi, il titolare dei diritti può autorizzare i terzi, anche a titolo gratuito, al compimento di attività altrimenti vietate.

Partendo da tale presupposto, i sostenitori del software libero giungono alla conclusione che le licenze di software libero non sono dei contratti, in quanto l’utente può fare solo quello che gli è concesso in base alla licenza senza oltrepassare i suoi limiti e ciò indipendentemente da una sua espressa manifestazione di volontà, perché senza la licenza non avrebbe alcun diritto di agire [17].

In questa prospettiva il contratto troverebbe una giustificazione solo se il titolare volesse imporre all’utente finale restrizioni ulteriori rispetto a quelle previste dal diritto d’autore [18].

Anche in Italia si è aperto un vivace dibattito attorno al problema della qualificazione giuridica delle licenze F/OSS.

Non mancano ovviamente i sostenitori della Free Software Foundation, in base ai quali per sostenere la vincolatività delle licenze relative al software libero non è necessario ricercarne il carattere contrattuale, ma è sufficiente far riferimento al diritto d’autore ed all’affidamento sociale [19].

Altre teorie hanno cercato di risolvere il problema della qualificazione giuridica delle licenze F/OSS, ma nessuna sembra essere riuscita a raggiungere appieno il risultato.

Considerando la licenza come un negozio unilaterale, si è cercato di parlare di negozio di rinuncia [20] : con le licenze F/OSS il soggetto titolare dei diritti sul software rinuncia in modo espresso ai suoi diritti esclusivi in favore di terzi [21] e la comunicazione diviene irrevocabile, quindi efficace e vincolante, non appena esternata.

Del negozio unilaterale di rinuncia non esiste una definizione normativa, la dottrina ha cercato di individuare una nozione generale consistente “nell’attività dismissiva di un soggetto che volontariamente si spoglia di un suo diritto” [22].

La rinuncia, quindi, comporta una perdita patrimoniale in capo al soggetto rinunciante, mentre nelle fattispecie dell’OSS e del Free Software questa perdita non si verifica; inoltre, il trasferimento del diritto nella sfera patrimoniale di un terzo è solo una conseguenza indiretta della rinuncia (c.d. rinuncia traslativa del diritto), lo scopo di recare un vantaggio ad un terzo, infatti, non rientra nel negozi unilaterali, ma in quelli bilaterali.

Vista la non piena corrispondenza tra le licenze F/OSS e il negozio di rinuncia, si è cercato di far riferimento a schemi contrattuali tipici.

Il contratto di locazione, al quale di solito si assimilano le licenze di uso di software proprietario, è invece incompatibile con gli schemi contrattuali dell’Open Source e del Free Software. Si tratta, infatti, di un contratto oneroso, a prestazioni corrispettive, con durata limitata, in cui il godimento di un bene, concesso contro il pagamento di una somma di denaro, presuppone la consegna dello stesso con i relativi obblighi connessi (custodia, restituzione).

Anche le caratteristiche del contratto di comodato non si adattano agli schemi negoziali del software “libero” o “aperto”, in modo particolare: l’obbligazione per il comodatario di restituire il bene entro un termine prestabilito dalle parti o in mancanza su richiesta del comodante e il divieto di apportare modifiche al bene.

Lo schema delle licenze F/OSS non può essere qualificato neanche come donazione. La donazione, infatti, richiede che il soggetto donante, che effettua e sopporta il depauperamento del proprio patrimonio, non abbia un interesse patrimoniale alla donazione stessa e sia mosso dal c.d. spirito di liberalità (animus donandi) rappresentato dalla coscienza e volontà di compiere un’attribuzione patrimoniale gratuita in favore di un altro soggetto, che conosce e che condivide l’arricchimento stesso, senza esservi in alcun modo costretto.

Non tutti i negozi a titolo gratuito però possono essere qualificati come donazione, c’è, quindi, chi ha promosso la via del negozio gratuito atipico per qualificare le licenze F/OSS [23].

Si tratta di un negozio intermedio tra una donazione e un contratto di scambio in cui l’atto di disposizione trova la sua giustificazione in un interesse economico del disponente, che rappresenta la causa del contratto.

L’interesse economico può essere rappresentato da diversi fattori:

– la combinazione con altri programmi di tipo proprietario aventi funzionalità maggiori che vengono commercializzati;

– l’offerta di manuali e della documentazione descrittiva del software;

– la personalizzazione del programma che può essere offerto a pagamento;

– l’offerta del servizio di manutenzione e assistenza.

In questo modo ogni singolo contratto autonomamente considerato si giustifica solo con riferimento ad un altro contratto, con la necessità di effettuare una valutazione unitaria dei diversi negozi. Si determina, quindi, il fenomeno del c.d. collegamento funzionale, che si interseca, inoltre, con l’istituto della presupposizione [24].

Secondo altra teoria [25] le licenze F/OSS hanno natura mista, da una parte, sono basate sul diritto d’autore e si configurano come licenze, almeno nella parte in cui riconoscono ampi diritti agli utenti; dall’altra si qualificano come contratto [26], al pari di tutte le altre licenze software, nella parte in cui impone certe restrizioni agli utenti stessi, soprattutto agli autori di un’opera derivata dall’opera GPL. La clausola del copyleft [27], infatti, travalica i poteri dell’autore originario: è vero che è la licenza che attribuisce il diritto di creare lavori derivati e di ridistribuirli, ma è altrettanto vero che “non è possibile imporre condizioni ai contributing author’s exclusive rights senza il consenso di quest’ultimo” [28]. Anche per la GPL, quindi, è necessario il consenso di entrambi gli autori a ridistribuire il lavoro derivato alle condizioni in essa previste. Il contratto, quindi, è l’unico strumento in grado di vincolare l’autore del lavoro derivato a ridistribuire secondo i termini della GPL [29].

Partendo dalla considerazione che non è possibile individuare una qualificazione giuridica univoca valida per tutte le licenze F/OSS e che a tal fine occorre analizzare ogni singola licenza, nessuna delle teorie sovra esposte sembra completamente esauriente. Si potrebbe giungere così alla conclusione che alcune licenze F/OSS, in particolare la GPL, potrebbero anche non avere alcuna validità giuridica sia in Italia (come in numerosi altri paesi) [30], con la conseguente applicabilità delle sole disposizioni contenute nella legge sul diritto d’autore (la L. 633 del 1941) [31].


[1] R. STALLMAN, Perché l'”Open Source” manca l’obiettivo del Software Libero (http://www.gnu.org/philosophy/open-source-misses-the-point.it.html).

[2] “The Free Software Foundation (FSF), established in 1985, is dedicated to promoting computer users’ rights to use, study, copy, modify, and redistribute computer programs. The FSF promotes the development and use of free software, particularly the GNU operating system, used widely in its GNU/Linux variant (http://www.FSF.org).

[3] “The Open Source Initiative (OSI) is a non-profit corporation formed to educate about and advocate for the benefits of open source and to build bridges among different constituencies in the open-source community. One of our most important activities is as a standards body, maintaining the Open Source Definition for the good of the community. The OSI Certified Open Source Software certification mark and program creates a nexus of trust around which developers, users, corporations and governments can organize open-source cooperation” (http://www.opensource.org).

[4] http://www.gnu.org/philosophy/free-sw.it.html

[5] Il termine inglese “free” ha un doppio significato: gratis e libero.

[6] La GNU GPL detta condizioni su quanto si può chiedere per distribuire una copia di software libero solo nel caso in cui i binari vengano distribuiti senza il corrispondente codice sorgente completo.

[7] “In the GNU project, we use copyleft to protect these freedoms legally for everyone. But non-copylefted free software also exists. We believe there are important reasons why it is better to use copyleft, but if your program is non- copylefted free software, we can still use it” (http://www.gnu.org/philosophy/free-sw.html). “Non-copylefted free software comes from the author with permission to redistribute and modify, and also to add additional restrictions to it. If a program is free but not copylefted, then some copies or modified versions may not be free at all. A software company can compile the program, with or without modifications, and distribute the executable file as a proprietary software product. The X Window System illustrates this. The X Consortium releases X11 with distribution terms that make it non-copylefted free software. If you wish, you can get a copy which has those distribution terms and is free. However, there are non-free versions as well, and there are popular workstations and PC graphics boards for which non-free versions are the only ones that work. If you are using this hardware, X11 is not free software for you. The developers of X11 even made X11 non-free for a while” (http://www.gnu.org/philosophy/categories.html#Non-CopyleftedFreeSoftware).

[8] Dall’articolo Che cos’è il software libero? a cura della Free Software Foundation (http://www.gnu.org/philosophy/free-sw.it.html).

[9] S. H. LEE, Open Source Software Licensing, in The Economist (Hackers Rule, the Economist, 20 febbraio 1999)

[10] Due licenze di software libero o open sono compatibili quando, rispettando le condizioni poste da entrambe, è possibile combinare il codice sorgente dei programmi licenziati per realizzare un’opera derivata da essi. Una licenza è considerata compatibile con la GPL quando permette la combinazione del codice rilasciato tramite la licenza stessa con quello posto sotto GPL e a condizione che il risultato venga distribuito tramite GPL.

[11] M. BERTANI, Guida alle licenze di software libero e open source, Milano, Nyberg, 2004 – II.

[12] La licenza GPL consente all’utente licenziatario di modificare il programma (sez. 2), ma non lo obbliga a pubblicare il programma derivato, consentendo di sfruttarlo per uso privato. Però nel caso in cui l’utente decida di pubblicare il programma così modificato, la GPL prescrive che tale opera derivata sia distribuita alle stesse condizioni dell’opera originaria, cioè tramite GPL (sez. 2 lett. b).

[13] http://www.opensource.org/docs/osd

[14] La GNU GPL (General Public License) è un insieme specifico di termini di distribuzione per dare permesso d’autore ad un programma. Il Progetto GNU lo utilizza come licenza per la maggior parte del software GNU. Il sistema GNU è un completo sistema operativo di tipo Unix.

[15] N. BOSCHIERO, Le licenze F/OSS nel diritto internazionale privato: il problema delle qualificazioni, in AIDA 2004

[16] Il Prof. Eben Moglen co-fondatore del movimento Free Software e avvocato della FSF in più occasioni ha sottolineato la differenza tra licenza e contratto: “A licence is a unilateral permission to use someone elese’s property, a contract is an exchange of obligations“. Già dal nome la GPL si qualifica come licenza e non come contratto, a differenze di molte altre licenze che si considerano licence agreement e sono redatte come contratti. The GPL is a License, Not a Contract, Which is Why the Sky Isn’t Falling, Sunday, December 14 2003 disponibile on-line alla pagina: http://www.groklaw.net/article.php?story=2003121421063485).

[17] Con la Licenza GPL ad ogni persona che osservi le condizioni in essa prevista sono unilateralmente riconosciuti tutti i diritti di usare, copiare e modificare il software. Questi permessi sono concessi unilateralmente dai titolari e gli utenti non devono accettare la licenza perché non hanno obbligazioni.

[18] I distributori utilizzano lo strumento del contratto per impedire la decompilazione e per aggirare la regola del first sale.

[19] C. PIANA, Licenze pubbliche di software e contratto, in I Contratti, IPSOA, 2006, fasc. 7, pagg. 720 – 727.

[20] V. ZENO-ZENCOVICH – SAMMARCO P., Sistema e archetipi delle licenze open source, in AIDA 2004.

[21] “Tutte le situazioni giuridiche attive possono formare oggetto di rinuncia, fatta eccezione per i diritti indisponibili e per le condizioni legate allo status” V. ZENO-ZENCOVICH – SAMMARCO P., Sistema e archetipi delle licenze open source, in AIDA 2004.

[22] L. BOZZI, Appunti in tema di rinuncia: configurabilità e vincolatività della pronuncia di rinuncia, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1999, fasc. 11-12 pag. 895 – 918.

[23] V. ZENO-ZENCOVICH – SAMMARCO P., op. cit.

[24] Con il termine presupposizione si indica: la situazione di fatto o di diritto, passata, presente o futura, di carattere obiettivo, che le parti hanno tenuto presente anche senza un espresso riferimento nelle clausole contrattuali, o che si possa ritenere presa in considerazione dai contraenti, nella formazione del loro consenso, come presupposto comune determinante del vincolo contrattuale.

[25] N. BOSCHIERO, op. cit.

[26] Dal punto di vista del diritto internazionale privato, sempre secondo l’opinione della BOSCHIERO: “nel primo caso vengono in considerazione le norme internazionalmente uniformi sulla proprietà intellettuale armonizzate dai rilevanti trattati internazionali (Convenzione di Berna, Trattato WIPO). Nel caso invece di contractual issue le norme di conflitto di riferimento varieranno a seconda della giurisdizione adita. Non esiste infatti una norma di diritto internazionale uniforme di conflitto accettata a livello globale per la disciplina dei contratti software, né una disciplina materiale internazionale uniforme. Non può venire in soccorso la normativa posta dalla Convezione di Vienna del 1980 sui contratti di vendita internazionale di cui è già stata esclusa l’applicazione in ragione dell’impossibilità di qualificare le licenze di F/OSS come contratti internazionali di vendita, l’esclusione della convenzione di Vienna del resto è prassi comune nelle licenze che prevedono espressamente la legge applicabile. Nel caso in cui la corte adita fosse una corte europea le norme di conflitto da prendere in considerazione sono quelle della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge relativa alle obbligazioni contrattuali, sempre che ricorra un conflitto di leggi. Spetterà così alla legge individuata ai sensi delle norme convenzionali uniformi e non alla normativa nazionale sui contratti del foro adito, disciplinare le questioni fondamentali che si pongono in materia contrattuale. E’ della massima importanza risolvere il problema legato alla qualificazione delle licenze F/OSS anche se la dottrina ha manifestato in proposito come la distinzione tra licenza e contratto non sia idonea a creare alcun conflitto”.

[27] La clausola che impone al licenziatario di mantenere free/open ogni lavoro distribuito o pubblicato che derivi in parte o nella sua totalità, da un programma coperto da GPL.

[28] N. BOSCHIERO, op. cit.

[29] N. BOSCHIERO, op. cit.: “Contrariamente a quanto sostenuto dai fondatori del movimento per il free software, quindi, la violazione dell’art. 2 della GPL si configura non già come copyright infringement quanto piuttosto come violazione contrattuale”.

[30] Del resto anche alcune previsioni delle licenze di tipo proprietario, essendo delle mere traduzioni da altre lingue, in particolare dall’inglese, non hanno alcun valore giuridico in altri ordinamenti, se non attraverso l’interpretazione da parte del giudice (es. la previsione della non risarcibilità del “danno indiretto” contenute in alcune licenze tradotte dall’inglese).

[31] In base al diritto d’autore, il creatore del software è il titolare dei diritti morali e patrimoniali sull’opera, salvo il caso di software realizzato da un “lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro”. In particolare, spetta in via esclusiva all’autore o al titolare dei diritti di sfruttamento economico sul software: il diritto di pubblicazione (rendere pubblico il programma), di riproduzione (ricomprende anche le operazioni di caricamento, esecuzione e visualizzazione del programma per elaboratore qualora queste richiedano una riproduzione), di elaborazione (modifica del programma), di distribuzione (ogni forma di distribuzione al pubblico del programma, compresa la locazione). Discorso a parte va fatto, invece, per il diritto d’uso. La distribuzione di copie del programma sarebbe, infatti, inutile se non accompagnate dalla possibilità di usare il programma. Per questa l’art 64-ter punto 1 prevede espressamente che la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, la trasformazione e ogni altra modificazione del programma per elaboratore “non sono soggette all’autorizzazione del titolare dei diritti” allorché siano necessarie “per l’uso del programma per elaboratore conformemente alla sua destinazione da parte del legittimo acquirente, inclusa la correzione degli errori”. Anche se l’art. 64-ter fa riferimento al legittimo acquirente e sembrerebbe escludere cosi i software concessi in uso gratuito, la norma deve essere estesa più in generale a chi “ha il diritto di usare una copia del programma” per elaboratore. I successivi punti dell’art. 64-ter e l’art. 64 quater prevedono ulteriori attività che possono essere compiute senza l’autorizzazione da parte dell’autore quali: la correzione di errori, la realizzazione di una copia di riserva, l’analisi del funzionamento del programma volta a determinare le idee ed i principi che ne sono alla base e la decompilazione del programma per conseguire l’interoperabilità con altri programmi.

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