Il caso Techland-Peppermint ha suscitato notevoli discussioni non solo in Italia. La Peppermint è una società discografica, mentre la Techland sviluppa videogiochi: esse avevano incaricato la Logistep (società informatica svizzera) di svolgere un sistematico monitoraggio delle reti peer to peer (P2P, reti dette anche di file sharing) alla ricerca di file illecitamente condivisi che, pertanto, violavano i diritti d’autore di loro titolarità.
Tramite l’utilizzo di software specifici, le società avevano individuato un ingente numero di indirizzi IP relativi a utenti ritenuti dalle medesime società quali responsabili dello scambio illegale di file. Grazie a tali indirizzi erano risaliti ai nomi degli utenti, anche italiani, al fine di potere ottenere un risarcimento del danno.
Il caso ha interessato anche altre nazioni, fra cui la Francia. Qui, nel marzo 2007, l’avvocato parigino Elizabeth Martin aveva intimato a migliaia di utenti di pagare 400 euro perché accusati di aver scaricato illegalmente il videogioco “Call of Juarez”. Con il pagamento di tale somma si sarebbe concluso un accordo transattivo che avrebbe evitato un processo ai danni dei destinatari.
Nelle lettere di diffida veniva “spiegato” ai destinatari che, in caso di lite giudiziaria, le spese legali della procedura sarebbero state a carico della parte soccombente e che esse sarebbero potuto essere anche molto elevate, potendo raggiungere le migliaia di euro.
Ma, soprattutto, si affermava che, in caso di mancato pagamento dei danni e degli interessi in favore della Techland, essa avrebbe agito chiedendo la vendita giudiziale dei beni di proprietà degli intimati.
Tali lettere erano la trasposizione “francese” di un modello di diffida già utilizzato allo stesso scopo in altri paesi, fra cui il Regno Unito.
Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Parigi ha poi avviato un procedimento disciplinare nei confronti del legale parigino, perché aveva utilizzato metodi aggressivi stranieri finalizzati a forzare i pagamenti. Ciò è avvenuto in violazione delle norme deontologiche che prevedono che un avvocato non può ingiustamente rappresentare una situazione o una grave minaccia.
Inoltre, in violazione del codice deontologico, l’avvocato Martin ha ricevuto i pagamenti su un conto corrente privato e non su quello professionale; ancora, non ha reso noto il numero di pagamenti ricevuti.
Per tali motivi, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Parigi ha interdetto alla giurista l’esercizio della professione legale per 6 mesi nonché la possibilità di ricoprire cariche consiliari presso il Consiglio nazionale forense francese e in altre organizzazioni professionali per ben 10 anni.
Fonte: Numerama.