In seguito alla decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee dell’8 novembre del 2007 (Schwibbert), per i supporti non cartacei non è opponibile ai privati operanti nell’ambito comunitario l’obbligo del contrassegno Siae. Il giudice nazionale deve disapplicare – fino al momento in cui sarà perfezionata la procedura di notifica – la regola interna che impone l’obbligo di apporre sui supporti il marchio Siae in vista della loro commercializzazione. In tale modo, viene vanificata la rilevanza penale di tutte le fattispecie di reato che includono come elemento costitutivo della condotta tipica il contrassegno Siae.

(Cassazione penale Sez. III Sent., 02/04/2008, n. 13810).

 

In Diritto

All’odierna udienza il procuratore generale ha richiamato la decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee dell’8 novembre del 2007, Schwibbert, resa a norma dell’articolo 234 del Trattato CEE per valutare eventualmente l’incidenza di tale decisione sulle fattispecie in discussione.

E’ quindi doveroso da parte di questo collegio prendere in esame l’anzidetta decisione per stabilire se ed eventualmente in quale misura essa possa incidere sul ricorso in esame.

La sentenza ha per oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Forlì nel procedimento penale a carico di un imputato che doveva rispondere del reato previsto dall’art. 171 ter comma 1 lett. c) L. 633/1941 – prima della modifica apportata con la L. 248/2000 – per avere commercializzato CD (riproducenti opere di pittori) privi del contrassegno Siae.

La questione concerneva la compatibilità della normativa nazionale su tale marchio con la direttiva europea 28 marzo 1983, 83/189/CEE, la quale aveva istituito nel diritto comunitario una procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche.

L’anzidetta direttiva è stata ripresa ed ampliata con le direttive 98/34 CE e 98/48 CE, anch’esse richiamate nella decisione della Corte di Lussemburgo in esame, recepite e rese esecutive in Italia con il decreto legislativo 23 novembre del 2000 n. 427 recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 21 giugno 1986 n. 317…”

La legge richiamata era quella che aveva recepito ed attuato la direttiva 83/139 CEE.

Trattandosi di direttive attuate e recepite con atto avente forza di legge nell’ordinamento dello Stato non sussistono dubbi sulla loro diretta applicabilità.

La procedura d’informazione è rivolta a consentire alla Commissione di controllare che le regole tecniche stabilite da uno Stato membro non costituiscano ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’ambito comunitario, ostacolo ammissibile solo se necessario per soddisfare esigenze imperative rivolte al conseguimento di un interesse generale.

Per quanto concerne l’Italia, la Corte di Giustizia si era già occupata dell’omessa comunicazione di una regola tecnica con riferimento all’articolo 19 della legge 23 marzo del 2001 n. 93, la quale vietava la vendita di bastoncini per la pulizia delle orecchie non fabbricati con materiale biodegradabile e puniva il divieto con sanzione amministrativa.

In quella circostanza la Corte di Giustizia aveva statuito che è compito del giudice nazionale disapplicare una disposizione del diritto interno che costituisce una regola tecnica una volta accertato che essa non è stata notificata alla Commissione prima della sua adozione (cfr. Corte di Giustizia sez. V 8 settembre del 2005 Lidi Italia s.r.l.) e ciò perché l’inadempimento dell’obbligo di comunicazione costituisce un vizio procedurale sostanziale idoneo a comportare l’inapplicabilità delle regole tecniche ivi considerate.

La disapplicazione opera anche se la regola tecnica sia contenuta in un atto avente forza di legge ed anche se la sua violazione sia punita come illecito.

Invero la qualificazione della violazione della procedura d’informazione come vizio procedurale sostanziale incide inevitabilmente sulla procedura costituzionale di approvazione delle leggi nazionali, nel senso che, ove le medesime contengano una regola tecnica, per potere essere efficaci (quanto meno nei confronti dei soggetti comunitari) non devono soltanto essere adottate in conformità delle norme costituzionali sulla produzione normativa, ma devono altresì seguire la procedura comunitaria stabilita con regolamento o direttiva recepita.

La Corte di Giustizia nella decisione richiamata dal procuratore generale ha incluso la normativa che stabilisce l’obbligo di apposizione del contrassegno Siae nel novero delle regole tecniche per le quali è quindi prevista la procedura d’informazione.

La Corte ha precisato che l’individuazione del momento in cui l’obbligo di apposizione è stato introdotto nella normativa italiana appartiene alla competenza del giudice nazionale.

Di conseguenza, spetta a questa Corte dare risposta ai quesiti sopra prospettati sui rapporti cronologici tra normativa statale e direttiva CEE e sulla effettuazione della notifica della regola tecnica alla Commissione delle Comunità europee.

Ora la prima disposizione del diritto italiano che ha introdotto il contrassegno Siae risale al regolamento per l’esecuzione della legge sul diritto di autore (RD 1369/1941) e, riferita alle sole opere a stampa, aveva lo scopo di controllare gli esemplari venduti.

Successivamente la funzione del contrassegno assume natura pubblicistica e diventa strumentale alla verifica della originalità del prodotto.

La mancanza del bollino Siae, nei casi in cui l’apposizione è prevista, viene sanzionata penalmente.

La prima disposizione che ha introdotto come ipotesi di reato la vendita ed il noleggio di videocassette riproducenti opere cinematografiche non contrassegnate dalla società italiana degli autori ed editori è costituita dalla legge n 121 del 1987.

Indi, il D.Lvo 518/1992 (modificato dalla L.248/2000) ha inserito, nel corpo della L.633/1941, l’art. 171-bis che, nella sua attuale formulazione, punisce chi abusivamente duplica programmi per elaboratori o li commercializza o li riproduce in supporti privi del contrassegno Siae. Inoltre, la legge 248/2000 (modificatrice della L. 685/1994) ha esteso la previsione della legge n 121/1987 a chi vende, noleggia videocassette, musicassette od altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento non timbrate dalla Siae.

Infine con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 luglio 2001 n. 238 è stato introdotto il Regolamento di esecuzione delle disposizioni relative al contrassegno della Società italiana degli autori e degli editori (SIAE), di cui all’art. 181 bis della L 633/1941, con cui si disciplinano, tra l’altro, le caratteristiche del timbro da apporre sui supporti.

Così sintetizzata la disciplina in materia, si rileva che l’obbligo di apposizione del contrassegno riguardava nel regolamento del 1942 solo i libri e che le modifiche legislative introdotte in epoca successiva non possono considerarsi semplici adeguamenti necessari per i progressi tecnologici.

Per i supporti non cartacei, l’obbligo di apposizione è posteriore alla istituzione, in virtù della direttiva 83/189, della procedura di informazione: in ogni caso, un dovere di nuova notifica conseguiva, a norma dell’art. 8 della direttiva 98/34, alla modifica apportata al progetto di regola tecnica ed alla inclusione di inediti supporti nello ambito dell’obbligo originario di apposizione del contrassegno.

Inoltre risulta, dalle stesse difese della Siae nella causa avanti la Corte di Giustizia, che nessuna notifica è stata effettuata a sensi della direttiva 83/189 e successive modificazioni.

Pertanto, si deve rilevare che – per i supporti non cartacei- si sono verificate le due condizioni che, secondo i Giudici di Lussemburgo, rendono inopponibile ai privati operanti nell’ambito comunitario l’obbligo del contrassegno Siae.

Questo Collegio deve attenersi alla conclusione vincolante resa dalla Corte di giustizia che ha il ruolo di qualificato interprete del diritto comunitario di cui definisce autoritariamente il significato con la conseguenza che una sentenza interpretativa di una norma si incorpora nella stessa e ne integra il precetto con immediata efficacia (v. per tutte sentenze Corte Cost. 13/1985, 389/1989, 168/1991; Cass. sez. III 1/7/1999 n. 9983, Valentini).

Ai sensi dell’art. 164 del Trattato CE l’interpretazione del diritto comunitario della Corte di Giustizia ha efficacia vincolante per tutte le autorità (giurisdizionali o amministrative) degli Stati membri anche ultra partes.

Come già accennato il principio di non applicazione opera anche nel caso in cui la regola tecnica sia contenuta in una norma penale.

Il principio di prevalenza e la diretta efficacia del diritto comunitario comportano come ineludibile conseguenza che i precetti penali, per i quali vige il principio di riserva di legge statale, siano influenzabili, pur indirettamente, dalla normativa sovranazionale con funzione mitigatrice nel senso che questa non può creare nuove ipotesi di reato o aggravare la responsabilità di un soggetto, ma può restringere l’ambito del penalmente rilevante e introdurre nuove cause di giustificazione; ad esempio, non può essere addebitabile ad un agente un comportamento conforme alle prescrizioni comunitarie o negato un diritto di libertà sancito dai trattati.

In esito alla decisione della Corte di Lussemburgo, il giudice nazionale deve disapplicare – fino al momento in cui sarà perfezionata la procedura di notifica – la regola interna che impone l’obbligo di apporre sui supporti il marchio Siae in vista della loro commercializzazione.

In tale modo, viene vanificata la rilevanza penale di tutte le fattispecie di reato che includono come elemento costitutivo della condotta tipica il contrassegno Siae con inevitabile influenza anche sulle disposizioni che regolano la misura patrimoniale della confisca.

Ritiene il Collegio che le conclusioni della Corte di Giustizia incidano su tutte le disposizioni normative che, successivamente alla entrata in vigore della direttiva 83/98 CEE, hanno introdotto la necessità del timbro Siae per le varie tipologie di supporti.

Sul punto, si deve osservare come la decisione in esame sia limitata all’oggetto della causa principale (detenzione di CD contenenti opere di arti figurative), ma il Collegio ritiene che le conclusioni debbano applicarsi a tutte le ipotesi di disposizioni normative che hanno introdotto la necessità del timbro Siae ai nuovi tipi di supporto.

Anche in questi casi, è riscontrabile un vizio di adozione delle norme tecniche, per la mancanza della procedura di informazione, e sono di attualità le argomentazioni della Corte di Giustizia.

Esse debbono coerentemente estendersi a tutte le norme della legge sul diritto di autore che sanzionano penalmente la carenza del contrassegno Siae sui supporti non cartacei.

Va chiarito però che la decisione della Corte di Giustizia riguarda esclusivamente le disposizioni della L.633/194l come successivamente modificata, che contemplano l’obbligo di apposizione del contrassegno Siae.

La sentenza non incide dunque sulla tutela del diritto d’autore in quanto tale ed, in particolare, sui diritti riconosciuti a difesa della personalità dell’autore o su quelli relativi alla utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno.

Era ed è vietata, infatti, anche dopo la sentenza, qualsiasi attività che comporti l’abusiva diffusione, riproduzione o contraffazione delle opere dell’ingegno.

Né potrebbe essere altrimenti posto che la funzione istituzionale della Siae rimane comunque circoscritta alla sola attività di intermediazione per la gestione dei diritti d’autore.

Occorre ora stabilire in concreto entro quali limiti la sentenza della Corte di Giustizia possa influire sulla assoggettabilità a sanzione penale delle ipotesi di reato disciplinate dalla legge sul diritto di autore ; le fattispecie della L.633/1941 che puniscono la immissione sul mercato di supporti privi del necessario contrassegno Siae sono gli artt. 171 bis comma 1 e comma 2, l’art. 171 ter comma 1 lett. d ( lett. c prima della novazione introdotta con la L. 248/2000).

Nel caso in cui la condotta contestata riguardi esclusivamente l’apposizione del marchio Siae, la disapplicazione della norma nazionale, incompatibile con quella comunitaria, comporta davanti alla Corte Suprema l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata.

Si tratta ora di individuare tra le diverse formule di proscioglimento di cui all’articolo 530 c.p.p. quella più aderente al caso concreto.

Questa sezione in una fattispecie analoga, riguardante altra materia, nella sentenza n 99983 del 1999 già citata, ha utilizzato la formula” perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”. Sotto la locuzione “il fatto non è previsto dalla legge come reato”, che non era contenuta nell’articolo 479 del previgente codice di rito, vanno sussunte le ipotesi in cui il fatto non corrisponde ad una fattispecie incriminatrice.

L’irrilevanza penale del fatto può dipendere o da una sua mancata previsione normativa o da una successiva abrogazione della norma o dalla dichiarazione di incostituzionalità della previsione normativa.

L’anzidetta formula non esclude la possibilità che il fatto penalmente irrilevante possa assumere rilievo in sede civile.

La formula assolutoria perché il fatto non sussiste viene adottata, invece, quando manca un elemento costitutivo del reato.

Tale formula escludendo il fatto rileva anche in sede diversa da quella penale.

La formula anzidetta è più liberatoria perché esclude non solo l’illiceità penale ma la stessa sussistenza del fatto.

Questo collegio ritiene corretta la formula perché il fatto non sussiste perché la disapplicazione, incidendo sull’efficacia della norma, produce i suoi effetti in tutti i settori dell’ordinamento e quindi esclude qualsiasi rilevanza anche extrapenale al fatto mentre la formula “perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato” non pregiudica l’eventuale rilevanza extrapenale del fatto e, quindi, non è perfettamente aderente alla fattispecie disapplicativa che esclude qualsiasi rilevanza al fatto.

Dalla decisione della Corte di Giustizia deriva, infatti, che non esiste, in assenza della prescritta comunicazione, il dovere di applicare il contrassegno e, quindi, il comportamento tenuto dal soggetto è considerato tanquam non esset .

A proposito del contrassegno si deve rilevare che nella prassi sovente si fa riferimento alla sua mancanza , non per contestare un’autonoma figura di reato rispetto alla contraffazione sostanziale , ma solo per evidenziare che la mancanza del contrassegno costituisce la riprova dell’illecita duplicazione .

In questi casi non si pone alcun problema di disapplicazione della norma perché il fatto contestato non riguarda la mera mancanza del contrassegno nei casi in cui la sua apposizione sia prevista, ma la violazione sostanziale del diritto di autore ossia l’illecita duplicazione.

L’inesistenza del contrassegno continua a mantenere valenza indiziaria della illecita riproduzione, ma non è elemento di tale significatività ed univocità da sorreggere da solo, in carenza di altre emergenze, la conclusione in ordine alla abusiva o illecita riproduzione dell’opera protetta.

La riprova è costituita proprio dal fatto sottoposto all’esame della Corte di Giustizia delle Comunità Europea in esame. Nella fattispecie esaminata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee ad un cittadino comunitario si era contestata l’illecita duplicazione sulla base della sola mancanza del contrassegno e l’accusato aveva dimostrato che era munito della relativa autorizzazione alla riproduzione.

Fatta questa premessa si deve osservare che la sentenza della corte di Giustizia in esame non ha avuto alcuna rilevanza nella fattispecie concreta, perché il reato contestato non riguarda la mera mancanza del contrassegno, ma la messa in commercio di supporti illegittimamente duplicati .

Tuttavia si deve rilevare che il reato si è estinto per prescrizione essendo maturato alla data del 16 giugno del 2007 il termine massimo di anni sette e mesi sei .

Il ricorso non è manifestamente infondato perché manca la motivazione sulla concessione della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 c.p.

Siffatta circostanza è configurabile anche con riferimento al delitto di cui all’art. 171-ter lettera c) della Legge 22 aprile 1941 n. 633 (abusiva duplicazione, riproduzione, vendita, cessione o noleggio di opere destinate al circuito cinematografico o televisivo, dischi, musicassette, videocassette e simili) qualora ricorrano simultaneamente la condizione del perseguimento (o del conseguimento), da parte dell’autore del reato, di un lucro di speciale tenuità e quella della produzione, a detrimento della parte offesa, di un evento dannoso o di una situazione di pericolo, entrambi di speciale tenuità.

A tal fine il giudice è chiamato a verificare in concreto il presupposto della speciale tenuità e la sua valutazione è censurabile in sede di legittimità solo per mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

A norma dell’articolo 171-sexies legge n. 633 del 1941 va disposta la confisca del materiale sequestrato trattandosi di confisca obbligatoria in quanto si è accertata l’illegittima duplicazione (Cass. n. 319 del 2006)

P.Q.M.

La Corte,
Letto l’articolo 620 c.p.p.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché estinto per prescrizione il reato ascritto.
Ordina la confisca degli oggetti in sequestro.
Così deciso in Roma il 12 febbraio del 2008
Depositata il 2 aprile 2008

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