Risponde del reato di furto aggravato e non di appropriazione indebita, il dipendente di una banca che si impossessi, mediante movimentazioni effettuate con i terminali dell’ufficio, di somme di danaro di clienti depositate in conti correnti. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha altresì escluso che tale condotta sia sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 640 ter cod. pen., quando le operazioni di spostamento del denaro siano effettuate attraverso operazioni ordinarie sul sistema informatico della banca). (Rigetta, App. Genova, 21 Marzo 2005)

(Cassazione penale Sez. VI Sent., 09/05/2007, n. 32543).

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 21.03.2005 la Corte d’appello di Genova confermava le condanne penali e civili inflitte in primo grado a V.E. e a R.F. per:

1) – il reato ex artt. 81, 110, 624, 625 c.p., n. 2, art. 61 c.p., nn. 7 e art. 11 c.p., perchè, essendo il R. impiegato della Banca di Brescia in servizio presso la sede di Genova, s’impossessavano, sottraendole dai conti correnti di G. A. e della ERG SpA, di L. 10.000.000 il 28.06.2000 e di L. 555.435.287 il 07.07.2000, con mezzi fraudolenti consistiti nelle disposizioni, operate dal R. mediante i terminali in uso, rispettivamente, al collega A.A. e alla collega A.C., di bonifici per gli importi predetti, accreditati su conti intestati al V. e a società da lui rappresentata, sui quali quest’ultimo subito andava a effettuare operazioni di incasso;

2)- il reato ex artt. 110, 61 c.p., n. 2, art. 368 c.p., perchè, al fine di procurarsi l’impunità dal reato di cui al capo precedente, simulavano a carico di M.G. tracce di reato, consistenti nell’avere dichiarato il R., in occasione dell’ispezione interna della Banca del 16.08.2000, che la collega M., pur avendo timbrato il cartellino alle ore 16,27 del 07.07.2000, in realtà non si era allontanata dalla sede ed era perciò presente al momento di effettuazione dei bonifici per lire 555.435.287; nell’avere il R. il 14.08.2000 chiesto con un pretesto alla M. le generalità del marito e nell’avere poi il V., alle ore 22,00 dello stesso giorno, effettuato o fatto effettuare una chiamata telefonica, ricevuta dal marito della M., così facendo risultare contatti tra la M. e il V..

Propongono ricorso i prevenuti.

Il R. denuncia la illogicità delle argomentazioni con cui si è risaliti a lui come autore delle operazioni al terminale incriminate e si è poi ricostruita la fattispecie dell’asserita calunnia.

Si duole poi in particolare della mancata assunzione della prova decisiva dell’acquisizione dei tabulati Telecom relativi alle chiamate in entrata all’utenza a lui in uso, al fine di accreditare la tesi volta a smentire l’unico elemento oggettivo che lo collegherebbe al V., basata sull’assunto di aver ricevuto la telefonata di una donna che richiedeva di essere richiamata su un numero a lui sconosciuto e corrispondente a quello in uso a R. M. e al V..

Il V. deduce, con riferimento alla calunnia materiale, che la sua responsabilità viene desunta dalla mera circostanza della provenienza di una telefonata da un cellulare a lui in uso e che la condotta tipica di tale reato postula la creazione di un’apparenza di segni materiali e oggettivi della commissione di un reato da parte di un innocente.

Con riferimento al fatto configurato come furto aggravato, assume che esso andrebbe qualificato come appropriazione indebita ovvero come frode informatica ex art. 640 ter c.p..
Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati.

Per quanto concerne, invero, la responsabilità del R. in ordine al reato di cui al capo 1) della rubrica, la stressa è ampiamente e logicamente argomentata nella sentenza impugnata, con riferimento:

– al comprovato intervento dell’imputato, in coincidenza col momento temporale delle operazioni incriminate, sui terminali su cui vennero eseguite;

– alle interrogazioni (per le quali non si sapeva che lasciavano traccia nel CED) da lui sicuramente eseguite, prima nell’imminenza delle dette operazioni, sui conti da cui sarebbero stati prelevati i fondi;

– alle interrogazioni, da lui parimenti eseguite, poco prima dell’operazione del 07.07.2000, sul conto Carena, sul quale erano state eseguite operazioni di bonifico analoghe per importo (e quindi utili a sviare i controlli) a quelle che sarebbero state eseguite sul conto ERG;

– al contatto telefonico avuto col V. poco dopo il bonifico del 07.07.2000. La Corte di merito ha fornito adeguate e logiche risposte alle obiezioni difensive riguardanti in particolare:

– la dedotta carenza di indagini nei confronti di altri sospettabili;

– la deduzione secondo cui in banca si sapeva che anche le interrogazioni lasciavano traccia nel CED;

– la circostanza che successive interrogazioni sul conto ERG risultano effettuate con matricola di altri colleghi.

Quanto al fatto che il R., il 07.07.2000, fece presente alla M. che avrebbe provveduto lui a scollegarne il terminale, esso non può certo incrinare la pregnanza e tenuta logica del grave coacervo indiziario, ben potendo trovare spiegazione, se non in un eccesso di sicurezza dell’imputato, nel suo interesse a evitare un intervento che potesse apparire non giustificato e, quindi, sospetto.

In ordine poi alla denuncia di mancata assunzione della prova decisiva dell’acquisizione dei tabulati Telecom relativi alle chiamate in entrata all’utenza a lui in uso, la Corte ha chiarito che tali tabulati erano già presenti in atti e dimostravano l’inesistenza della presunta telefonata da lui ricevuta prima della sua chiamata al cellulare in uso al V..

Anche la ricostruzione del quadro probatorio relativo alla calunnia appare effettuata dalla Corte territoriale in marnerà logica e puntuale, attraverso la attenta correlazione delle varie condotte (dichiarazioni agli ispettori sulla permanenza in sede della M., ricerca delle generalità del di lei marito, telefonata del V. a quest’ultimo) dirette a far convergere i sospetti di colpevolezza sulla collega M., dal cui terminale egli ben sapeva essere state effettuate le operazioni di bonifico del 07.07.2000.

Quanto al V., il suo coinvolgimento nella calunnia è stato dimostrato attraverso la telefonata fatta al marito della M., logicamente spiegata quale rilevante elemento della manovra diretta a “incastrare” la medesima.

Sul piano giuridico, deve osservarsi che l’evoluzione giurisprudenziale sulla calunnia indiretta è pervenuta a identificare le “tracce” di reato simulabili con qualsiasi elemento atto a indicare una persona come probabile autore o compartecipe di un fatto criminoso. In tal senso si può richiamare in particolare la giurisprudenza in tema di denuncia di smarrimento di assegno, nella quale si ravvisa la calunnia indiretta del reato di ricettazione.

Nella specie, peraltro, la telefonata del V. al marito della M. costituisce indubbiamente “traccia” (orientata sulla donna) anche in senso strettamente materiale.

Per quanto concerne poi la pretesa qualificazione come appropriazione indebita del fatto di cui al capo 1) della rubrica, si osserva che:

– ai fini della delimitazione dei confini tra il reato di furto e quello di appropriazione indebita, possono rientrare nella nozione di possesso vari casi di detenzione, ma deve comunque trattarsi di detenzione “nomine proprio” e non in “nomine alieno”, come in tutti i casi di persone che abbiano la disponibilità materiale della cosa ad altri appartenente in virtù del rapporto di dipendenza che le lega al titolare del diritto (Cass. 2012.1993, Balzaretti);

– l’impiegato di banca non ha la disponibilità neanche provvisoria della provvista dei conti correnti dei clienti dell’istituto, in quanto egli non ha altro compito che quello di eseguire le disposizioni del correntista, il quale rimane, in ogni momento, possessore e “dominus” della gestione del conto; onde risponde del reato di furto, e non del delitto di appropriazione indebita, l’impiegato che, con movimentazioni fittizie, effettui spostamenti o prelievi dai conti correnti dei clienti, sottraendo denaro alla disponibilità di costoro (Cass. 10.07.1996, Iegiani).

Nè la condotta in esame è sussumibile nella nuova fattispecie di cui all’art. 640 ter c.p., per il semplice fatto che le operazioni di spostamento del denaro si effettuano oggi attraverso sistemi informatici. Il delitto introdotto dalla norma da ultimo citata, infatti, prevede la condotta di chi, intervenendo in qualsiasi modo su un sistema informatico, ne alteri il funzionamento o ne manipoli dati, informazioni o programmi senza esserne autorizzato dal titolare del sistema. Nella specie, invece, il R. non ha fatto altro che eseguire operazioni ordinarie sul sistema informatico della banca – quali gli ordini di bonifico da conto corrente -, alle quali era, dall’istituto titolare del sistema, personalmente abilitato, solo che lo ha fatto senza averne avuta disposizione dai correntisti.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e 616 c.p.p., rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, nonchè al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile Banco di Brescia SpA, liquidate in Euro 3000,00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2007.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2007

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