Pubblica AmministrazioneIl Codice dell’amministrazione digitale "concede" diversi diritti a cittadini e imprese. Vediamo quali.

1. Premessa

Il 1° gennaio 2006 è entrato in vigore il d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, meglio conosciuto come “Codice dell’amministrazione digitale” (d’ora in poi, cod. amm. dig.). Come ha sottolineato il Consiglio di Stato, “si tratta di un’opera di indubbio rilievo sistematico, che può fornire ai cittadini, alle imprese e alle stesse pubbliche amministrazioni uno strumento normativo ampio, tale da orientare in maniera organica i processi di innovazione in atto. Uno strumento, quello del codice, che – vista la assoluta peculiarità della materia trattata – può contribuire non soltanto alla erogazione di servizi più efficienti e veloci, ma anche a consentire forme innovative di partecipazione alla vita amministrativa e politica. Che può avvicinare i destinatari dell’innovazione (i cittadini, le imprese, la società civile) ai suoi protagonisti (gli amministratori, i funzionari e gli impiegati pubblici), nella nuova “amministrazione digitale”, attraverso un intervento più tradizionale e di chiara leggibilità come è un codice, ossia una raccolta organica di disposizioni legislative” [1].

Il cod. amm. dig., tuttavia, è stato subito oggetto di numerose e pungenti critiche [2], soprattutto nella parte in cui disciplina il documento informatico e la firma digitale [3], ed è stato modificato a poco più di un anno di distanza dalla sua emanazione dal d.lgs. 4 aprile 2006, n. 159, recante disposizioni integrative e correttive.

Nel Codice sono disciplinate numerose fattispecie che, in taluni casi, esulano dal carattere pubblicistico che connota detto testo normativo. Basti pensare alla disciplina del documento informatico e della firma digitale, che trova applicazione anche nei rapporti fra soggetti privati e non solo nell’ambito dei rapporti fra privati e pubblica amministrazione o fra pubbliche amministrazioni.

Non è questa la sede per una compiuta analisi del cod. amm. dig., che richiederebbe ben altro spazio e per la quale si rinvia ai già copiosi studi dottrinali in materia [4]. L’attenzione sarà invece riferita alla Sezione II del Capo I del d.lgs. 82/2005, dedicata ai “diritti dei cittadini e delle imprese”. Tale sezione è composta da nove articoli, la cui finalità è rendere sempre più effettiva la possibilità di interagire con la pubblica amministrazione anche per mezzo delle nuove tecnologie.

2. Il diritto all’uso delle tecnologie

L’art. 3 del cod. amm. dig. sancisce il c.d. diritto all’uso delle tecnologie da parte di cittadini ed imprese, i quali “hanno diritto a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi statali nei limiti di quanto previsto” dal cod. amm. dig. (art. 3, comma 1, cod. amm. dig.).

Come è stato sottolineato in dottrina, tale norma, seppur rilevante, non costituisce una novità assoluta nell’ordinamento giuridico italiano [5], in quanto già l’art. 1, comma 1, della l. 9 gennaio 2004, n. 4 (c.d. “Legge Stanca”), ha esplicitamente [6] riconosciuto un simile diritto (“La Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici”) [7], oltretutto con maggior veemenza. Difatti, mentre nella Legge Stanca il riferimento è a “ogni persona”, nel cod. amm. dig. vengono menzionati, unicamente, “i cittadini e le imprese”; inoltre, il riferimento “a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi” sembra delineare un ambito di applicazione più ampio rispetto a quello delineato dal cod. amm. dig., ove il riferimento è alle “comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi statali”.

La dizione letterale della norma, inoltre, sembra limitare la titolarità del diritto ad una cerchia ben delimitata: quella dei “cittadini” e delle “imprese”. Qualora dovesse prevalere una interpretazione letterale dell’art. 3, comma 1, cod. amm. dig., sia le persone fisiche che non hanno la cittadinanza italiana che tutte quelle persone giuridiche che non sono “imprese” non sarebbero titolari di tale diritto. Probabilmente sarebbe stato più corretto svolgere un più generico riferimento alle persone fisiche e giuridiche, al fine di non realizzare ingiustificate limitazioni all’esercizio di tale diritto [8].

Il suo concreto esercizio, comunque, presuppone sia il possesso (o, comunque, la disponibilità anche temporanea) di un personal computer che la capacità di utilizzarlo. Anche al fine di porre tutti nelle condizioni di esercitare il diritto di cui all’art. 3, comma 1, cod. amm. dig., il legislatore ha altresì previsto, all’art. 8 cod. amm. dig., lo svolgimento di attività di alfabetizzazione informatica in favore dei cittadini (v. infra). Tuttavia, la norma da ultimo citata è una mera dichiarazione di intenti, per cui in dottrina si è sostenuto che l’art. 3, comma 1, cod. amm. dig., discrimina fra soggetti alfabetizzati e non [9].

Quanto all’ambito di applicazione soggettivo passivo della norma in oggetto, bisogna rilevare che il d.lgs. 159/2006 ne ha ampliato l’ambito di operatività, poiché al comma 1 il riferimento non è più alle “pubbliche amministrazioni centrali”, come nell’originaria formulazione del cod. amm. dig., bensì alle publiche amministrazioni tout court.

Inoltre, con il medesimo d.lgs è stato introdotto il comma 1-bis, ai sensi del quale il diritto all’uso delle tecnologie, così come delineato nel comma 1, “si applica alle amministrazioni regionali e locali nei limiti delle risorse tecnologiche ed organizzative disponibili e nel rispetto della loro autonomia normativa”. Tale limitazione sembra giustificata solo nei confronti delle amministrazioni locali, in virtù delle innumerevoli differenze che sussistono fra esse. Le Regioni, però, hanno ormai assunto un rilievo centrale e sarebbe stato opportuno estendere anche ad esse il disposto del comma 110.

Alcune perplessità possono sorgere anche in ordine all’ambito oggettivo del diritto all’uso delle tecnologie, poiché si fa espresso riferimento alle sole “comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi statali”, e “non, in una visione più ampia, all’intero spettro dei rapporti tra cittadino-impresa e amministrazione a partire dall’avvio del procedimento, passando per i momenti partecipativi, fino all’accesso agli atti” [11]. Potrebbe, tuttavia, ipotizzarsi una interpretazione estensiva del termine “comunicazioni”, facendo rientrare in tale concetto qualsiasi estrinsecazione concreta del complesso rapporto fra soggetti privati e pubbliche amministrazioni. In ogni caso, sarà l’applicazione pratica della norma appena richiamata a dissipare eventuali dubbi in merito.

Le controversie inerenti il diritto all’uso delle tecnologie sono sottoposte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in seguito all’introduzione del comma 1-ter all’art. 3 cod. amm. dig. da parte del legislatore delegato.

Tale scelta pare opportuna e consente di dissipare eventuali dubbi interpretativi in ordine ad un profilo tanto delicato quanto quello della giurisdizione. Pertanto, indipendentemente dalla qualificazione in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo del diritto di cui all’art. 3, comma 1, cod. amm. dig., “i cittadini e le imprese” possono adire la giustizia amministrativa per tutelarlo.

Il legislatore delegato ha dunque accolto, sotto questo profilo, il parere reso il 30 gennaio 2006 dal Consiglio di Stato, che aveva criticato la scelta di devolvere le relative controversie non al “giudice “naturale” della pubblica amministrazione”, bensì all’autorità giudiziaria ordinaria. Secondo il Consiglio di Stato, “a fronte dell’azione della P.A. come “autorità” non si possono ordinariamente scorgere diritti soggettivi in senso proprio, se non per quanto riguarda i limiti esterni del potere, ma solo interessi legittimi” [12].

Si può, comunque, convenire con quella dottrina che auspica un rapido abbandono della “tradizionale distinzione interesse legittimo – diritto soggettivo, fondata sulla natura (vincolata o discrezionale) dell’attività amministrativa (e su cui ancora fa uso la Cassazione nel disciplinare il riparto di giurisdizione), … in quanto teoricamente erronea e foriera di enormi complicazioni“ [13].

In attesa che ciò avvenga, sembra che il “diritto” di cui all’art. 3, commi 1 e 1-bis, cod. amm. dig. debba però essere valutato quale interesse legittimo, che può trovare piena tutela (anche risarcitoria) dinanzi al Giudice Amministrativo. In caso contrario, detta norma sarebbe di dubbia costituzionalità, poiché, all’art. 3, comma 1-bis, cod. amm. dig., “tale situazione non è tutelata nella sua pienezza allorché non vi siano le necessarie risorse. Né, ovviamente, sarebbe costituzionalmente consentito differenziare la situazione soggettiva in relazione alla diversa amministrazione (statale o meno) cui il cittadino o l’impresa chiede l’uso delle tecnologie” [14].

3. La partecipazione al procedimento amministrativo informatico

Il procedimento amministrativo trova compiuta disciplina nella l. 7 agosto 1990, n. 241 [15]. Grazie al cod. amm. dig., la partecipazione al procedimento amministrativo (di cui al capo III della l. 241/90) ed il diritto di accesso ai documenti amministrativi (di cui al capo V della l. 241/90) sono esercitabili mediante l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione secondo quanto disposto dagli articoli 59 e 60 del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445 (art. 4, comma 1, cod. amm. dig.). L’art. 59 d.p.r. 445/2000, in particolare, regolamenta il c.d. accesso esterno ai documenti ed alle informazioni dei sistemi di gestione informatica dei documenti, mentre l’art. 60 d.p.r. 445/2000 disciplina l’accesso effettuato dalle pubbliche amministrazioni.

Il cod. amm. dig., dunque, incide sulle modalità di svolgimento del procedimento amministrativo, consentendo ai soggetti privati di relazionarsi più celermente con la pubblica amministrazione.

Si consideri che nel procedimento amministrativo possono intervenire sia i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale é destinato a produrre effetti diretti [16] sia “qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento” (art. 9 l. 241/90).

In linea generale, l’intervento si sostanzia nel diritto, spettante ai soggetti sopra citati, di prendere visione degli atti del procedimento [17] nonché di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione procedente ha l’obbligo di valutare se pertinenti all’oggetto del procedimento. Oggi, pertanto, grazie all’art. 4, comma 2, cod. amm. dig., la trasmissione di atti e documenti alla pubblica amministrazione può essere effettuata con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione se essi sono formati ed inviati nel rispetto della normativa vigente [18].

4. Effettuazione dei pagamenti con modalità informatiche

Al progresso ed alla diffusione delle tecnologie informatiche e della rete Internet, nonché dei servizi in tal modo accessibili, si accompagna altresì un graduale aumento del numero di transazioni svolte interamente on line, eliminando la necessità di un contatto diretto fra i soggetti di ciascuna transazione. Ciò nonostante, è ancora sin troppo diffuso un generale senso di insicurezza e di diffidenza verso i pagamenti on line, che probabilmente sarà via via superato quando aumenterà la dimestichezza nell’uso degli strumenti informatici.

In linea generale, un sistema di pagamento elettronico deve soddisfare alcuni requisiti [19], che possono così elencarsi:

— riservatezza e sicurezza dei dati: le transazioni devono avvenire senza che sia possibile per soggetti terzi venire a conoscenza dei contenuti delle comunicazioni. Le informazioni relative al negozio, con riferimento ai suoi elementi soggettivi ed oggettivi, devono essere conoscibili solo dalle parti e non devono essere esposti ad ingerenze esterne. Bisogna pertanto assicurare l’anonimato e la non tracciabilità;

— autenticità ed identificabilità delle parti: la loro identità non deve essere conoscibile da soggetti terzi rispetto alla transazione, ma è necessario che ciascuna conosca l’identità dell’altra, per poter garantire la genuinità dei messaggi nonché la rispettiva rintracciabilità;

— non ripudiabilità delle informazioni: la volontà negoziale delle parti riguardo al pagamento non deve poter essere disconosciuta e deve essere opponibile ai terzi in un eventuale giudizio. Pertanto, l’autore di ciascun messaggio non deve poter ripudiare il contenuto di quanto affermato;

— inalterabilità dei documenti ed integrità dei dati: il contenuto delle transazioni deve essere pienamente conforme alla volontà delle parti e non deve sussistere la possibilità di alterare il documento informatico sul quale si fonda la transazione, sia prima che dopo la sua conclusione;

— interoperabilità delle applicazioni e delle tecnologie: la possibilità di utilizzare gli strumenti di pagamento elettronico andrebbe assicurata a tutti, indipendentemente dalla piattaforma hardware e software utilizzata. In caso contrario, il mercato potrebbe trainare esclusivamente gli standard attuali e contribuire al mantenimento dei monopoli de facto, impedendo lo sviluppo tecnologico e l’emersione di nuovi soggetti in tale ambito.

Tanto premesso, è chiaro che la progressiva informatizzazione dell’azione amministrativa non potrebbe realizzarsi senza consentire l’effettuazione di pagamenti elettronici in favore delle pubbliche amministrazioni. Così, l’art. 5 cod. amm. dig. dispone che, “a decorrere dal 30 giugno 2007, le pubbliche amministrazioni centrali con sede nel territorio italiano consentono l’effettuazione dei pagamenti ad esse spettanti, a qualsiasi titolo dovuti, con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione” [20].

Pertanto, quando tale norma troverà attuazione pratica, chiunque debba effettuare un qualsiasi pagamento nei confronti delle pubbliche amministrazioni centrali potrà farlo, se vuole, mediante le tecnologie telematiche. Ciò consentirà di velocizzare notevolmente le operazioni di pagamento e permetterà, inoltre, di diminuire l’ingente flusso dei pagamenti che avverranno ancora in modalità “tradizionale”, presso gli uffici postali e/o bancari.

L’effettivo “successo” dell’art. 5 cod. amm. dig. è però legato sia ad una diffusa alfabetizzazione informatica dei cittadini (v. infra) sia alla presenza di sistemi e strumenti di pagamento “sicuri” [21]. Difatti, solo quando crescerà la fiducia verso la sicurezza dei pagamenti on line si avrà un aumento ancora maggiore del numero di pagamenti svolti con tali modalità, anche se sembra naturale ritenere che una tale fiducia sia inscindibilmente legata alla capacità di utilizzare adeguatamente gli strumenti informatici.

5. Utilizzo della posta elettronica certificata

La posta elettronica certificata (d’ora in poi, PEC) è un sistema di e-mail nel quale al mittente viene fornita documentazione elettronica, con valenza legale, attestante l’invio e la consegna di documenti informatici, nonché l’integrità del messaggio [22]. Essa ha, sostanzialmente, il valore della posta raccomandata tradizionale. La ricevuta fornita al mittente dal proprio gestore di posta costituisce prova dell’avvenuta spedizione del messaggio e dell’eventuale allegata documentazione. Inoltre, quando il messaggio perviene al destinatario, il gestore di posta invia al mittente la ricevuta attestante l’avvenuta o la mancata consegna. Ex art. 14, comma 2, d.p.r. 445/2000, tali ricevute sono opponibili ai terzi.

Oggi, ai sensi dell’art. 14, comma 1, d.p.r. 445/2000, così come modificato dall’art. 3 d.p.r. 11 febbraio 2005, n. 68, non vi è “un’unica presunzione di conoscibilità, che si forma quando il messaggio è trasmesso all’indirizzo di posta elettronico dichiarato dal destinatario, ma due presunzioni (di invio e di consegna) che si formano rispettivamente quando il messaggio elettronico viene trasmesso, e quando risulta disponibile al destinatario” [23].

In caso di smarrimento delle ricevute di cui si è detto, è possibile richiederne una copia al proprio gestore, che è obbligato ex lege a memorizzare, per almeno trenta mesi, tutte le operazioni relative alle trasmissioni effettuate (art. 11, comma 2, d.p.r. 68/2005).

Bisogna sottolineare però che, per avere valore legale, sia il mittente che il destinatario devono avere una casella di PEC. Essa può essere utilizzata per la trasmissione di tutti i tipi di informazioni e documenti in formato digitale ed è disciplinata, oltre che dagli artt. 6 e 48 cod. amm. dig., anche dal d.p.r. 68/2005, nonché dalle regole tecniche emanate con d.m. del 2 novembre 2005 [24].

Il cod. amm. dig. dispone che le pubbliche amministrazioni centrali utilizzano la PEC per ogni scambio di documenti e informazioni con i soggetti interessati che ne fanno richiesta e che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo di PEC (art. 6, comma 1, cod. amm. dig.). Detta disposizione si applica anche alle pubbliche amministrazioni regionali e locali salvo che non sia diversamente stabilito (art. 6, comma 2, cod. amm. dig.).

Entro il 1° settembre 2006, ossia entro otto mesi dalla data di entrata in vigore del cod. amm. dig., le pubbliche amministrazioni centrali dovranno istituire almeno una casella di posta elettronica istituzionale ed una casella di posta elettronica certificata per ogni registro di protocollo (art. 47, comma 3, lett. a, cod. amm. dig.).

6. Qualità dei servizi resi e soddisfazione dell’utenza

Una pubblica amministrazione più moderna ed efficiente dovrebbe rispondere alle esigenze di qualsiasi soggetto che si relaziona con essa, per cui bisognerebbe valutare la corrispondenza dell’azione amministrativa, in qualunque forma essa si concretizza, ai bisogni dei privati.

In base al disposto dell’art. 7 cod. amm. dig., al fine di riorganizzare ed aggiornare i servizi resi dalle pubbliche amministrazioni centrali, esse sviluppano l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sulla base di una preventiva analisi delle reali esigenze dei cittadini e delle imprese, anche utilizzando strumenti per la valutazione del grado di soddisfazione degli utenti.

Pertanto, alle pubbliche amministrazioni centrali si richiede un’analisi ex ante delle reali esigenze dei cittadini e delle imprese ed una valutazione ex post del loro grado di soddisfazione.

Nella direttiva 27 luglio 2005 della Dipartimento per l’innovazione e tecnologie della Presidenza del Consiglio dei Ministri [25] è stato evidenziato che nell’erogazione di servizi on line manca la percezione dell’atteggiamento degli utenti che è, invece, rilevabile nell’ambito del rapporto diretto. Pertanto, bisogna svolgere un monitoraggio che consenta di rilevare il gradimento dei cittadini, delle famiglie, delle imprese e degli altri utilizzatori dei servizi mediante la gestione organica di tre modalità distinte ma i cui risultati vanno integrati: una modalità diretta, attuata periodicamente attraverso un questionario svolto on line o per via telefonica; una modalità indiretta fondata sulle informazioni acquisite attraverso le e-mail ricevute, il contact center e ogni altra forma di contatto prevista con gli utenti; una modalità tecnica basata sull’analisi dei comportamenti di navigazione. Ovviamente, tutto ciò deve avvenire nel rispetto del d.lgs 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali).

L’art. 7, comma 2, cod. amm. dig., inoltre, impone alle pubbliche amministrazioni centrali di trasmettere al Ministro delegato per la funzione pubblica e al Ministro delegato per l’innovazione e le tecnologie una relazione annuale sulla qualità dei servizi resi e sulla soddisfazione dell’utenza.

7. Alfabetizzazione informatica dei cittadini e partecipazione democratica elettronica

La rivoluzione dell’e-government può trovare attuazione solo grazie all’operato congiunto delle pubbliche amministrazioni e dei cittadini. Difatti, la predisposizione di servizi on line risulta assolutamente inutile se i fruitori degli stessi non vogliono o non sanno come utilizzarli. Pertanto, per evitare che gli sforzi tesi a informatizzare la pubblica amministrazione siano vani per il motivo appena ricordato, il legislatore ha introdotto l’art. 8 cod. amm. dig., ai sensi del quale “lo Stato promuove iniziative volte a favorire l’alfabetizzazione informatica dei cittadini con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire l’utilizzo dei servizi telematici delle pubbliche amministrazioni” [26].

La finalità perseguita da tale norma è certamente positiva: ridurre il c.d. digital divide (divario digitale). Nella sua accezione più generale, con questa espressione [27] si fa riferimento al gap che separa chi ha accesso alle moderne tecnologie e chi, invece, ne è privo. Vi sono, poi, diverse specificazioni del fenomeno, per cui si può avere accesso ai computer, ma essere svantaggiati nell’accesso ad Internet per velocità, disponibilità e/o costo della connessione; ancora, si può essere costretti ad utilizzare strumenti ormai obsoleti; e così via.

Purtroppo, però, l’art. 8 cod. amm. dig. non è certo una norma particolarmente efficace, in quanto non fornisce ai cittadini un vero e proprio diritto azionabile in giudizio. Esso ha, più che altro valore programmatico e di indirizzo e si inserisce nell’alveo di quelle iniziative governative adottate in Italia al fine di ridurre il digital divide nei suoi vari aspetti. Fra esse si possono ricordare le ben note “Vola con Internet” e “Un c@appuccino per un PC”, nonché “Pc ai dipendenti pubblici”, “Pc ai docenti” e “Pc alle famiglie” [28]. Inoltre, dal punto di vista didattico, sono stati predisposti dei Moduli di autoapprendimento (come il “M.A.I.S.”, Modulo di Autoapprendimento di Informatica per Studenti [29]) ed è stata realizzata una trasmissione denominata “Non è m@i troppo tardi”, trasmessa sulla rete “Rai Educational 1”.

Il legislatore codicistico, dunque, avrebbe dovuto intervenire con maggiore efficacia per garantire una sempre maggiore alfabetizzazione informatica dei cittadini. L’art. 8 cod. amm. dig. è, infatti, “una mera previsione programmatica e di principio” e, in tali casi, “occorrono specifiche e concrete iniziative che richiedono una adeguata copertura finanziaria e amministrativa” [30].

In altri termini, l’art. 8 cod. amm. dig. non sembra certo rispondente a quanto prescritto dall’art. 3, comma 2, Cost., ai sensi del quale “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Tali profili assumono rilevanza ancor maggiore qualora si consideri l’importanza che l’art. 9 cod. amm. dig. dà alle nuove tecnologie, il cui utilizzo dovrebbe essere favorito dallo Stato “per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili sia individuali che collettivi” [31]. Anche questa norma, però, consiste in una semplice, pur se altisonante, enunciazione programmatica e di principio, che assume mero valore simbolico. Essa, però, rimarrà lettera morta se non ci sarà la volontà politica di impegnarsi concretamente nella realizzazione di progetti di democrazia elettronica.

8. Sportelli per le attività produttive e Registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese

Gli artt. 10 e 11 cod. amm. dig. sono specificatamente rivolti alle imprese. In particolare, l’art. 10 cod. amm. dig. modifica il c.d. sportello unico previsto dall’art. 3 d.p.r. 20 ottobre 1998, n. 447, disponendo, all’uopo, che esso “è realizzato in modalità informatica ed eroga i propri servizi verso l’utenza anche in via telematica” (comma 1).

Esso “è stato istituito … come strumento per garantire certezza sui tempi e velocità dei procedimenti autorizzativi, nonché per fornire assistenza alle imprese al fine di migliorare i rapporti tra il mondo imprenditoriale e la pubblica amministrazione ed incentivare la creazione di nuovi insediamenti produttivi. Lo sportello unico è l’unico interlocutore dell’impresa per tutto il complesso di atti amministrativi che riguardano la vita di un impianto produttivo” [32].

Il cod. amm. dig. dovrebbe rendere più rapida ed efficiente l’interazione fra le imprese e la pubblica amministrazione, poiché fornisce agli utenti la possibilità di inviare per via telematica qualsiasi atto (fra cui istanze, dichiarazioni e documenti). Inoltre, il cod. amm. dig. dispone l’integrazione degli sportelli unici con i servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni (art. 10, comma 2, cod. amm. dig.) [33].

L’art. 11 cod. amm. dig.34 dispone, invece, l’istituzione del “Registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese”, che contiene l’elenco completo degli adempimenti amministrativi previsti dalle pubbliche amministrazioni per l’avvio e l’esercizio delle attività di impresa [35], nonché i dati raccolti dalle amministrazioni comunali negli archivi informatici di cui all’art. 24, comma 2, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 11236. Il Registro si articola su base regionale con apposite sezioni del sito informatico e fornisce, ove possibile, il supporto necessario a compilare in via elettronica la relativa modulistica.

Le modalità di coordinamento, di attuazione e di accesso al Registro, nonché di connessione informatica tra le diverse sezioni del sito sono stabilite con d.p.c.m., da emanarsi su proposta del Ministro delle attività produttive e del Ministro delegato per l’innovazione e le tecnologie. Il Registro di cui sopra è pubblicato su uno o più siti telematici (individuati con d.m. emanato dal Ministro delle attività produttive) e di esso possono avvalersi le autonomie locali, qualora non provvedano in proprio, per i servizi pubblici da loro gestiti.

9. Conclusioni

È noto che uno dei settori tradizionalmente meno propensi a recepire le innovazioni, intese in senso lato, sia quello della pubblica amministrazione. Con l’emanazione del cod. amm. dig. è stato compiuto un’ulteriore sforzo, che fa seguito a precedenti interventi normativi, per smentire tale convinzione.
Come si è visto, la parte del cod. amm. dig. che disciplina i diritti dei cittadini e delle imprese (e, si spera, anche di coloro che non rientrano né nell’una né nell’altra categoria) raggiunge esiti altalenanti. Ciò era forse prevedibile, ma tali rilievi non cancellano gli aspetti positivi di un testo normativo teso a modernizzare la pubblica amministrazione nonché il rapporto fra questa ed i soggetti privati che si trovano, volenti o nolenti, ad interagire con essa. La speranza è, ovviamente, che molte norme di carattere programmatico trovino poi riscontro nella volontà politica e che sia possibile proseguire sul percorso tracciato dal cod. amm. dig. al fine di garantire un sempre miglior andamento della pubblica amministrazione.

Note (articolo pubblicato su Rivista di diritto, economia e gestione delle nuove tecnologie, 2006).

1 Cons. Stato, ad. del 7 febbraio 2005, n. della Sezione 11995/04, in http://www.interlex.it/testi/pdf/parere_cds.pdf.
2 Cfr. A. Lisi, Codice della P.A. Digitale, D.Lgs. da gettare?, in http://www.studiocelentano.it/editorial/articolo.asp?id=1031; Id., La nuova era della “legislazione a singhiozzo”?, in Rivista di diritto, economia e gestione delle nuove tecnologie, 2005, 5, pp. 719-720.
3 In argomento cfr., oltre ai commentari citati di seguito, R. Clarizia, Il documento informatico sottoscritto: alcune note a margine del codice dell’amministrazione digitale, in Diritto dell’Internet, 2005, 3, pp. 221-225; F. Delfini, L’evoluzione normativa della disciplina del documento informatico: dal d.p.r. 513/1997 al Codice dell’amministrazione digitale, in Rivista di diritto privato, 2005, 3, pp. 531-542.
4 Cfr. i seguenti commentari (non aggiornati al d.lgs 159/2006): E. Carloni (a cura di), Il Codice dell’amministrazione digitale. Commento al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Santarcangelo di Romagna, 2005;. G. Cassano – C. Giurdanella (a cura di), Il Codice della pubblica amministrazione digitale. Commentario al d. lgs. n. 82 del 7 marzo 2005, Milano, 2005; G. Frosio (a cura di), Guida al Codice della Pubblica Amministrazione Digitale. La digitalizzazione della P.A. alla luce del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Napoli, 2005. Cfr., inoltre, C. Felli, Il Codice dell’amministrazione digitale, in Prime note, 2005, 7, pp. 21-25; M. Scialdone, Codice dell’Amministrazione Digitale: un passo avanti (forse troppo), in http://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=203.
5 M. Pietrangelo, Il diritto all’uso delle tecnologie nei rapporti con la pubblica amministrazione: luci ed ombre, in Informatica e diritto, 2005, 2, nonché in http://www.interlex.it/forum10/relazioni/44pietrangelo.pdf.
6 In linea generale, parte la dottrina ha “sostenuto sia che un generale diritto di accedere alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione può essere ricondotto in via interpretativa a quella libertà di utilizzo del mezzo che è già contemplata dall’art. 21 Cost, e, con riguardo a taluni specifici strumenti di comunicazione utilizzati sulla rete all’art. 15 Cost., sia che la peculiarità del nuovo mezzo, collocandosi in una zona grigia, imporrebbe l’individuazione di una forma espressa di tutela, non direttamente desumibile da alcuna disposizione costituzionale” (M. Pietrangelo, Articolo 3, in G. Cassano – C. Giurdanella (a cura di), op. cit., 2005, p. 25).
7 È doveroso citare anche il comma 2 del medesimo articolo, ai sensi del quale “È tutelato e garantito, in particolare, il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili, in ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione”.
8 In tal senso anche M. Pietrangelo, Il diritto all’uso delle tecnologie …, op. cit.
9 C. Giurdanella – E. Guarnaccia, Il diritto pubblico dell’informatica nel D.lgs 82/2005: rilievi critici, in http://www.astridonline.it/E-governme/Codice-del/GIURDANELLA-GUARNACCIA—Diritto-pub.pdf.
10 In tal senso è Cons. Stato, parere n. 31/2006, in http://www.giurdanella.it/mainf.php?id=7296.
11 Ivi.
12Ivi.
13 D. Burzichelli, Procedimento amministrativo e codice dell’amministrazione digitale, in http://www.cesda.it/quadernidae/pdf/BURZICHELLI_DAE2006.pdf.
14 Cons. Stato, parere n. 31/2006, cit.
15 Sulla l. 241/90, nel testo oggi vigente, cfr., fra gli altri, E. Barusso, Manuale operativo per la gestione del procedimento amministrativo dopo la Legge n. 15/2005 (aggiornato alla Legge 14 maggio 2005 n. 80), Matelica, 2005; C. Franchini – M. Lucca – T. Tessaro, Il nuovo procedimento amministrativo: commentario coordinato della legge 241/90 riformata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 e dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 (conversione con modifiche del D.L. 35/2005 sulla competitività), Rimini, 2005; C. Giurdanella, Guida alla riforma del procedimento amministrativo: la novella alla L. 241/1990 introdotta dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, Napoli, 2005; R. Proietti, Le novità in tema di procedimento e provvedimento amministrativo: la L.n. 7 agosto 1990 n. 241 come modificata e integrata dalla L.n. 11 febbraio 2005 n. 15 e dal D.l. 14 marzo 2005 n. 35 convertito con L. 14 maggio 2005 n. 80, Milano, 2005.
16 L’art. 7 della l. 241/90 dispone, altresì, che ad essi deve essere comunicato l’avvio del procedimento.
17 L’art. 24 della l. 241/90 disciplina i casi di esclusione dal diritto di accesso.
18 Come è stato rilevato in dottrina (M. Cammarata, Il cittadino escluso: per legge e dalla legge, in http://www.interlex.it/accesso/escluso.htm), tuttavia, rimane, il problema dell’effettivo esercizio del diritto di accesso, che la l. 11 febbraio 2005, n. 15 ha reso più difficile. Oggi esso spetta solo a quei soggetti privati che “abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Nel testo precedentemente vigente, difatti, il riferimento era alla “tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”
19 Sui pagamenti on line cfr. M. Tidona, I pagamenti elettronici in Internet. La circolazione elettronica della ricchezza. Gli aspetti fiscali delle transazioni in rete, Rimini, 2001.
20 Sull’art. 5 cod. amm. dig. cfr. M. Tidona, Articolo 5, in G. Cassano – C. Giurdanella (a cura di), op. cit., pp. 41-45.
21 Su tale argomento cfr. il provvedimento della Banca d’Italia del 24 febbraio 2004 (G.U. 30 marzo 2004 n. 75), recante “Disposizioni in materia di vigilanza sui sistemi di pagamento, emanato ai sensi dell’art. 146 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385”.
22 Sulla PEC cfr. S. Brescia, La posta elettronica certificata, in Le nuove leggi civili commentate, 2006, 1, pp. 37-48; G. Cammarota, La disciplina della posta elettronica certificata, in Giornale di diritto amministrativo, 2005, 9, pp. 917-921; M. Iaselli, La posta elettronica certificata: è davvero una realtà, in Rivista di diritto, economia e gestione delle nuove tecnologie, 2005, 3/4, pp. 249-253; S. Mattia, Posta elettronica certificata: per le raccomandate rivoluzione con un ‘click’, in Amministrazione & finanza, 2005, 11, pp. 33-37; M. Melica, L’utilizzo della posta elettronica certificata alla luce delle modifiche al codice di procedura civile: profili operativi, in Diritto dell’Internet, 2005, 5, pp. 527-534; C. Rabazzi, La posta elettronica certificata: le novità introdotte con il d.p.r. n. 68/2005, in Ciberspazio e Diritto, 2005, 2, pp. 229-244.
23 E. Guarnaccia, Articolo 6, in G. Cassano – C. Giurdanella (a cura di), op. cit., p. 52.
24 In G.U. 15 novembre 2005, n. 266.
25 In G.U. 18 ottobre 2005, n. 243.
26 Sull’art. 8 cod. amm. dig. cfr. C. D’Alessandra, Articolo 8, in G. Cassano – C. Giurdanella (a cura di), op. cit., pp. 69-75.
27 Essa è stata utilizzata con sempre maggior frequenza negli anni novanta e comunemente si ritiene che sia strettamente connessa alla teoria del knowledge gap, formulata nel 1970 da Tichenor, Donohue e Olien (Mass Media Flow and Differential Growth in Knowledge, in Public Opinion Quarterly, 1970, 34, 2, pp. 159-170). Secondo tale teoria, il knowledge gap può contribuire ad aumentare il divario già esistente fra persone aventi status socioeconomico opposto.
28 Per completezza, si rileva che, grazie all’art. 7, comma 3-ter, d.l. 14 marzo 2005, n. 35 (coordinato con la l. di conversione 14 maggio 2005, n. 80), anche i dipendenti privati possono, in alcuni casi, acquistare un personal computer agli stessi prezzi praticati all’azienda presso la quale lavorano, previo accordo fra lavoratore e datore di lavoro.
29 Raggiungibile all’URL http://www.mininnovazione.it/mais/index.html. I corsi di autoapprendimento, però, presuppongono una minima dimestichezza degli utenti verso gli strumenti informatici.
30 Cons. Stato, parere n. 31/2006, cit.
31 Sull’art. 9 cod. amm. dig. cfr. M. Pietrangelo, Articolo 9, in G. Cassano – C. Giurdanella (a cura di), op. cit., pp. 76-82.
32 M. Iaselli, Articolo 10, in G. Cassano – C. Giurdanella (a cura di), op. cit., p. 84. Sullo sportello unico cfr., fra gli altri, C. Bevilacqua, Lo sportello unico per le attività produttive ed i reticoli decisionali nell’organizzazione amministrativa italiana, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2005, 19/20, pp. 2194-2219; C. Cosentino, Lo sportello unico per le attività produttive: integrato ed aggiornato con il D.P.R. 7 dicembre 2000, n. 440 : problemi e casi pratici, quesiti e soluzioni, Milano, 2001; D. Cuttaia, Lo sportello unico per le attività produttive, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 1999, 9/10, pp. 894-901; S. Di Rosa, Sportello unico per l’insediamento di attività produttive di beni e servizi: osservazioni e commenti al D.P.R. 447/98, in L’amministrazione italiana, 1999, 3, pp. 420-452; P. Messinò, Sportello unico per le attività produttive: parabola di un mito?, in Comuni d’Italia, 2004, 1/2, pp. 51-60; G. Pierata, Lo sportello unico, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2002, 1, pp. 41-81; M. Sgroi, Lo sportello unico per le attività produttive: prospettive e problemi di un nuovo modello di amministrazione, in Diritto amministrativo, 2001, 1, pp. 179-231.
33 Ai sensi dell’art. 10, comma 3, cod. amm. dig., inoltre, “al fine di promuovere la massima efficacia ed efficienza dello sportello unico, anche attraverso l’adozione di modalità omogenee di relazione con gli utenti nell’intero territorio nazionale, lo Stato, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, individua uno o più modelli tecnico-organizzativi di riferimento, tenendo presenti le migliori esperienze realizzate che garantiscano l’interoperabilità delle soluzioni individuate”.
34 Sulla norma in oggetto cfr. M. Iaselli, Articolo 11, in G. Cassano – C. Giurdanella (a cura di), op. cit., pp. 91-98.
35 Tale elenco deve essere trasmesso, per via informatica, al Ministero delle attività produttive dalle amministrazioni pubbliche, dai concessionari di lavori e dai concessionari e gestori di servizi pubblici.
36 “Presso la struttura è istituito uno sportello unico al fine di garantire a tutti gli interessati l’accesso, anche in via telematica, al proprio archivio informatico contenente i dati concernenti le domande di autorizzazione e il relativo iter procedurale, gli adempimenti necessari per le procedure autorizzatorie, nonché tutte le informazioni disponibili a livello regionale, ivi comprese quelle concernenti le attività promozionali, che dovranno essere fornite in modo coordinato”.

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