La sempre più capillare diffusione dell’informatica nella vita di tutti i giorni ha rivoluzionato, com’era facile intuire, anche il mondo del diritto. Se, dunque, come conseguenza di questo vero e proprio terremoto, tante questioni giuridiche sono diventate anacronistiche, altre hanno acquisito nuova importanza e centralità: la diffamazione, nella sua versione online, ne è un esempio.

Uno degli aspetti recentemente affrontati dalla giurisprudenza è relativa al requisito dell’assenza della persona offesa, quando viene posta in essere la condotta lesiva su internet. Tale elemento, come si vedrà meglio più avanti, è indispensabile per configurare la fattispecie, ma sono molti i dubbi che solleva. Per capirci: se viene lesa la mia reputazione in un gruppo Whatsapp mentre non sono connesso, sono vittima di diffamazione? Cosa succede, invece, se le offese sono proferite in videochat? E su una bacheca Facebook?

Gli elementi del reato

Prima di dare una risposta a tali domande, pare utile ripassare le coordinate fondamentali del tema.

L’art. 595 del codice penale definisce la diffamazione come l’azione di chi “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”.

La giurisprudenza, nel corso degli anni, ha avuto modo di adattare il dettato normativo al nuovo contesto, stabilendo, ad esempio, che in caso di pubblicazione di una notizia su un sito internet destinato ad essere visto da un numero indeterminato di persone si presume la sussistenza dell’elemento della comunicazione a più persone (Cass. Pen., Sez. V, Sent. 04.04.08 n. 16262).

Inoltre, che dato il loro ampio raggio di diffusione, quando l’offesa è pubblicata su siti web, diversi da quelli delle testate giornalistiche (blog, social media, altre piattaforme internet), si integra un’ipotesi di diffamazione aggravata.

Tornando all’argomento di oggi, invece, si è anticipato che è necessario che la persona offesa sia assente. Diversamente, se chi viene offeso è presente, si verifica la diversa fattispecie dell’ingiuria, che, prevista dall’art. 594 del codice penale, è stata depenalizzata nel 2016 (art. 1, comma 1, lett. c del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7). Oggi, dunque, produce conseguenze solo sul piano civile ed è proprio per il fatto che l’ordinamento le riconosce ‘minor gravità’ che diventa fondamentale distinguerla dalla diffamazione.

Se, però, è facile immaginare cosa voglia dire essere assenti nel mondo reale, lo stesso non si può dire di quello virtuale.

Vediamo, dunque, che soluzioni hanno adottato i giudici finora.

L’assenza della persona diffamata online nella giurisprudenza

Una prima importante pronuncia sul tema è quella con cui la Corte di Cassazione (Cass. pen. Sez. V Sent., 16/10/2012, n. 44980) ha stabilito che l’invio di e-mail a contenuto diffamatorio a più destinatari integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, anche nell’eventualità che fra i destinatari del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive. Ciò, essenzialmente, in quanto, utilizzando tale medium, “il messaggio è diretto ad una cerchia talmente vasta di fruitori, che l’addebito lesivo si colloca in uno dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore ed offeso” e, pertanto, merita un trattamento più severo. In altre parole, la fattispecie esaminata viene equiparata all’offesa propagata dai giornali o dalla radiotelevisione, che, pur se percepibile anche dal diretto interessato, è pacificamente qualificata come ipotesi di diffamazione.

In un diverso contesto, ha successivamente fatto applicazione dello stesso principio la sentenza 7904 del 2019 della V Sezione penale della Cassazione. Il caso riguardava questa volta delle frasi offensive riportate su un gruppo di una diffusissima piattaforma di messaggistica istantanea ai danni di uno dei partecipanti di tale gruppo. La persona a cui le frasi si riferivano, dunque, era parte della chat, ma non aveva partecipato attivamente alla discussione. Anche in questo caso, dunque, gli Ermellini hanno ritenuto sussistente il requisito dell’assenza e configurabile il reato di diffamazione.

È particolarmente rilevante, al riguardo, l’osservazione della Corte per cuidallo stesso tenore dei messaggi offensivi siccome riportato in sentenza: «Si vabbè non se ne deve andare lei per colpa di una Troia Putt(..)» emerge come la minore parte lesa del reato fosse estranea allo specifico contesto comunicativo, nel quale erano coinvolti i soli minori indagati dialoganti tra loro».

Stante il riferimento alla formulazione dei messaggi, dunque, sembrerebbe configurabile il reato di diffamazione non solo nel caso in cui la persona offesa sia sconnessa dall’applicazione al momento in cui viene posta in essere la condotta, ma, addirittura, se, pur online, questa non partecipi attivamente alla discussione.

Procedendo oltre, poi, in Cassazione n. 10905 del 31 marzo 2020, è stato affermato un principio che, essendo motivato molto brevemente, può sembrare diverso da quanto sostenuto dalle altre sentenze.

Anche in questo caso, pare opportuno partire da un veloce riferimento ai fatti del caso: un soggetto, tramite l’utilizzo un noto software di messaggistica istantanea e VoIP, proferiva, nel corso di una videochat con diverse persone, delle offese ai danni di uno dei partecipanti.

In questo caso, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la Cassazione concludeva che: “l’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicaretti, Rv. 276502).

Ne consegue che il fatto, come accertato dalla sentenza impugnata, deve essere qualificato come ingiuria aggravata dalla presenza di più persone…”

Dalla motivazione della sentenza, invero molto stringata, non è possibile cogliere pienamente la logica seguita dai giudici per giungere a tale approdo. Delle indicazioni, tuttavia, possono essere dedotte dalla ricostruzione dello svolgimento processuale. Lì si afferma, infatti, che la piattaforma utilizzata sarebbe stata diversa da altre piattaforme chat digitali “leggibili anche da più persone; in tal caso, il destinatario dei messaggi era solo la persona offesa e la video chat aveva carattere temporaneo, sicchè non verrebbe in rilievo il precedente di Sez. 5, n. 7904/2019, che riguardava una chat scritta (Whatsapp) in cui il messaggio offensivo può essere visionato anche da altri utenti; nel caso in esame, la chat aveva natura di conversazione vocale, e non rileverebbe che all’ascolto vi fossero altri utenti.”

Si tratta, com’è ovvio, del riassunto delle argomentazioni di una delle parti, che, tuttavia, in assenza di ogni altro appiglio sul ragionamento svolto, potrebbe fornire utili spunti per casi futuri.

Conclusioni

Come capita di frequente quando una categoria giuridica viene applicata a un contesto diverso da quello per il quale era stata concepita, anche il requisito dell’assenza della persona diffamata è stato interpretato in modo oscillante. Se, infatti, pareva essersi consolidato il principio della natura in ogni caso diffamatoria dell’offesa online comunicata a più persone, l’ultima sentenza della Cassazione sembra sparigliare le carte.  Si può ipotizzare che la giurisprudenza si stia muovendo nell’ottica di un maggior riconoscimento delle diversità dei vari mezzi di comunicazione informatici e che, pertanto, seguiranno a breve nuovi sviluppi.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                Redazione Diritto dell’Informatica

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