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È ormai ritenuta arcaica la visione che vede nei beni materiali l’unico oggetto di attività economiche, risultando la frontiera dei beni immateriali, attualmente, quella maggiormente in fase di crescita.

Posto che anche ciò che non si vede e non si tange comunque può essere una fonte di profitto e di guadagno, anche per questa categoria di beni esiste un regime fiscale da rispettare.

Un accenno particolare, però, è opportuno fare in merito a quelle particolari “opere dell’ingegno” che, essendo naturale espressione e conclusione di attività di studio, ricerca e sviluppo, godono di un regime opzionale di tassazione agevolata, c.d. “Patent Box”.

Si tratta quindi di un’agevolazione fiscale che può essere interessante per tutte le imprese che si occupano di ricerca e sviluppo e che vogliono tutelare delle opere protette da diritto d’autore.

Come si sa, però, non sempre l’applicazione pratica di regole normative si rivela semplice, soprattutto in questo settore: in alcuni casi, quindi, è stato necessario chiedere il diretto intervento dell’Agenzia delle Entrate per sciogliere alcuni dubbi relativi al Patent Box.

Un breve cenno alla normativa di settore e ad una emblematica risposta dell’Agenzia dell’Entrate sul tema possono allora essere utili, per chi volesse approfittare del Patent Box o capirne meglio il funzionamento, per inquadrare le principali criticità e gli aspetti più controversi di questo strumento.

Che cos’è il Patent Box?

L’Agenzia delle Entrate lo definisce “un regime opzionale di tassazione agevolata per i redditi derivanti dall’utilizzo di software protetto da copyright, di brevetti industriali, di marchi d’impresa (poi esclusi per le opzioni esercitate dopo il 31 dicembre 2016), di disegni e modelli, nonché di processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili”.

Il Patent Box è stato introdotto dall’articolo 1 della legge n. 190 del 2014, diventando successivamente oggetto di varie modifiche ed integrazioni. Gli ultimi interventi normativi sono stati realizzati attraverso l’articolo 4 del D.L. n.34/2019 e il provv. 658445/2019, che hanno poi portato alla Circolare n.28/E dell’Agenzia delle Entrate per rendere chiarimenti sul punto.

Questo strumento consente al contribuente di accedere ad un regime fiscale agevolato, quando i beni in oggetto siano espressione di “ricerca e sviluppo” effettuata dal soggetto che ne richiede l’applicazione.

La comunicazione, da parte delle imprese che ne vogliono usufruire, vale come impegno per cinque anni d’imposta, non revocabili, ma rinnovabili.

Nello specifico, le imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo hanno la possibilità di escludere dalla base imponibile il 50% dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni immateriali già citati, o anche dalla cessione degli stessi, quando però il 90% del ricavato “ venga reinvestito nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali prima della chiusura del secondo periodo di imposta successivo a quello nel quale si è verificata la vendita.”

La prospettiva di un regime agevolato è sicuramente allettante, ma ovviamente richiede il rispetto di determinati criteri e requisiti, che non rendono alla portata di tutti l’applicazione di tale tipologia di tassazione. Proprio in merito a questo aspetto, sono di grande importanza le risposte offerte dall’Agenzia delle Entrate agli interpelli, ossia le istanze inviate dai contribuenti per chiedere chiarimenti applicativi.

Sul tema del Patent box, in particolare, l’Agenzia delle Entrate si è espressa nel 2018, destando particolare stupore, affrontando il caso di sfruttamento indiretto del bene immateriale, attraverso concessione a terzi, il cui reddito afferente è dato dai canoni derivanti da detto sfruttamento.

L’interpello della discordia. La risposta “che non ti aspetti” dall’Agenzia delle Entrate

Ci soffermiamo quindi sulla risposta n. 52 del 25 ottobre 2018 resa dall’Agenzia delle Entrate, giunta a seguito di interpello proposto da una Società “ALFA” che sviluppa, mette in opera e vende configuratori di prodotti grafici. La normativa presa in esame è l’articolo 1 della legge n. 190 del 2014, nello specifico i commi da 37 a 45.

Il quesito verteva sull’idoneità del reddito derivante dalla concessione in uso di un software.

Il Software era stato realizzato internamente dalla società ALFA, ma concesso in licenza a terzi tramite l’utilizzo di una piattaforma web cloud per due tipologie di ricavi afferenti alle attività della Società:

  1. quelli riconducibili alla concessione in uso dei software mediante licenza iniziale. Tali software possono essere fisicamente installati nelle postazioni utilizzate dal cliente oppure può essere garantito il loro utilizzo attraverso l’accesso a una piattaforma web cloud. Tale categoria comprende anche l’aggiornamento e l’integrazione dei software con eventuali nuove funzionalità periodicamente introdotte da ALFA;
  2. quelli riconducibili alla realizzazione e alla concessione in uso di implementazioni e personalizzazioni dei software sulla base delle specifiche richieste avanzate dal singolo cliente”.

Per sostenere l’applicabilità del regime fiscale in oggetto, la Società aveva già provveduto ad individuare le singole circostanze dalle quali desumere che i requisiti richiesti dalla normativa fossero in toto rispettati.

Non hanno convinto, però, le argomentazioni proposte dalla società ALFA, che sono state prontamente “smontate” dall’Agenzia delle Entrate.

L’AE, infatti, ha espresso una posizione che si è dimostrata assai distante da ciò che ci si sarebbe potuti ragionevolmente auspicare.

Il fulcro dell’iter logico-argomentativo portato avanti dall’Agenzia delle Entrate ha avuto come perno il concetto di “prerogativa autoriale”, che dovrebbe caratterizzare le attività di sviluppo, mantenimento ed accrescimento del software in oggetto. E quindi, contestualmente, dette attività, sempre coperte dalla normativa sul diritto d’autore, per rientrare nel campo di applicazione del Patent Box al contempo devono:

  1. essere svolte in via esclusiva dal proprietario del diritto;
  2. accrescere il valore economico del software;
  3. essere finalizzate alla realizzazione di una funzione, nuova rispetto al bene principale e originale rispetto agli standard del settore, giuridicamente tutelabile;
  4. essere il frutto di un intervento unico nel suo genere non riconducibile a funzioni già presenti nel software stesso.”

Di conseguenza, questi requisiti non sono integrati dall’attività di collegamento informatico al web cloud. Pertanto, detto servizio non rappresenta un’attività di “sviluppo, mantenimento e accrescimento del software” con prerogativa autoriale, e deve essere esclusa dall’ambito di applicazione del Patent Box – con non poco stupore per la Società Alfa!

Il fondamento alla base della risposta dell’Agenzia delle Entrate è il principio OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ) del “nexus approach”, secondo il quale “Rientrano nelle attività di ricerca e sviluppo finalizzate allo sviluppo, al mantenimento, nonché all’accrescimento del valore dei beni di cui all’articolo 6, le seguenti attività: (i) la ricerca fondamentale (…); (ii) la ricerca applicata (…); (iii) il design (…); (iv) l’ideazione e la realizzazione del software protetto da copyright (…).”

Conclusioni

La lapidaria conclusione dell’Agenzia delle Entrate non lascia margini di intervento per la Società:

il canone per l’utilizzo del servizio cloud:

  • non rientra tra i ricavi agevolabili, qualora incluso nel canone di concessione del software;
  • non rappresenta un’attività di ricerca e sviluppo finalizzate allo sviluppo, al mantenimento nonché all’accrescimento del valore del software stesso.”

Il problema, quindi, è che il canone per l’utilizzo del servizio cloud, riguardando la sola fase di connessione del software concesso sulla piattaforma, non può essere considerato quale attività di ricerca e sviluppo, con prerogativa autoriale, volta allo sviluppo, al mantenimento e l’accrescimento del software stesso. Quest’affermazione non tiene sicuramente conto di diversi aspetti che ineriscono l’aggiornamento, l’integrazione e un’indefinita serie di altre attività che ben potrebbero soddisfare i requisiti citati, consentendo al proprietario del diritto sul bene in questione di usufruire delle agevolazioni concesse dalla legge. Infatti, sebbene nasca come una forma di incentivo e di tutela per le imprese che svolgono tali attività, rischia nei fatti di essere uno strumento limitato, non permettendo il suo utilizzo per una consistente parte dei redditi connessi alle attività che coinvolgono questi beni immateriali. Rimanendo infatti esclusa una parte assai rilevante dei proventi di un’impresa che opera in questo settore, tale strumento potrebbe ritrovarsi svuotato della sua funzione e comunque distante da ciò che è la realtà degli usi e dei bisogni reali degli operatori. Si auspica, pertanto, un’apertura in questo senso da parte degli organismi e dei soggetti competenti, che possa offrire uno sguardo a 360° sulla realtà che sottende l’intero ciclo di vita delle “opere dell’ingegno”.

Redazione Diritto dell’Informatica

 

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