Il messaggio di posta elettronica nel processo e il suo valore come prova.

Un semplice messaggio di posta elettronica ha un qualche valore legale? Lo si può usare come prova in un vero processo. La normativa italiana lascia spazio all’interpretazione e concede margine di manovra al giudice, senza però dare uno strumento certo e definitivo sul tema.

Quale valore hanno le e-mail dal punto di vista giuridico? Esse vengono utilizzate per una molteplicità di scopi, sia in ambito privato sia in ambito pubblico, ma una e-mail è equiparabile a un documento sottoscritto o non ha alcun valore? Può una semplice e-mail trasformarsi in una vera e propria prova?

Ci si chiede che valenza abbia una dichiarazione contenuta in un messaggio di posta elettronica, se quest’ultimo sia suscettibile di assurgere a prova in un eventuale giudizio e, prima ancora, cosa debba intendersi giuridicamente per e-mail.

Al fine di individuare possibili soluzioni alle questioni sollevate, occorre innanzitutto rivolgere l’attenzione alla disciplina introdotta dal legislatore, il quale, preso atto dell’evoluzione tecnologica, ha inteso adeguare il dettato normativo a partire dalla L. n. 59/1997, riconoscendo e regolamentando la validità dei documenti formati e/o trasmessi con strumenti informatici.

Il Codice dell’Amministrazione Digitale (cd. CAD) di cui al D. Lgs. 82/2005 e successive modificazioni ci consente di sciogliere la preliminare questione relativa all’inquadramento giuridico dell’e-mail. Quest’ultima, infatti, può essere ricondotta nella categoria dei cd. documenti informatici, in ragione della definizione che di essi viene fornita all’art. 1, 1° comma, lett. p) del suddetto Codice quale «rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti».

Di che tipo di documento si tratta? L’e-mail inviata tramite posta elettronica cd. standard può essere considerata un documento informatico sottoscritto?

A tale riguardo occorre rilevare come siano rinvenibili due orientamenti contrapposti. Da un lato, infatti, vi è chi ritiene che l’e-mail sia da considerarsi quale semplice documento informatico privo di firma, in considerazione della pressoché assenza di garanzie che consentano di attribuire allo stesso una paternità certa, a nulla rilevando il dispositivo di riconoscimento tramite password per l’accesso alla posta elettronica, poiché quest’ultimo sarebbe privo della necessaria connessione logica con i dati elettronici che costituiscono il messaggio. Secondo tale orientamento, il valore probatorio dell’e-mail sarebbe da rinvenirsi nell’art. 2712 c.c. (così come modificato ex art. 23-quater, CAD) alla stregua del quale le riproduzioni informatiche, «fanno piena prova dei fatti e delle cose rappresentate» solo se colui contro il quale sono prodotte non le contesta tempestivamente disconoscendone la conformità ai fatti o alle cose medesime.

Art. 2712 c.c.

Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.

Secondo questo primo orientamento la mail vale come prova solo se il mittente non afferma il contrario. Se ciò accade, il messaggio email non ha alcun valore legale – diviene ciò che comunemente chiamiamo “carta straccia”.

Secondo un differente orientamento, invece, l’e-mail è da considerare, a tutti gli effetti, un documento informatico sottoscritto con firma elettronica semplice, come tale liberamente valutabile dal giudice sia in ordine all’idoneità della medesima a soddisfare il requisito della forma scritta, sia per ciò che concerne il suo valore probatorio, ai sensi degli artt. 20, comma 1-bis e 21, comma 1, D.Lgs. 82/2005.

Art. 20 comma 1-bis

L’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando quanto disposto dall’articolo 21.

Art. 21 comma 1

Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità.

Tale impostazione si giustifica alla luce del fatto che lo user id e la password utilizzati per accedere alla casella di posta elettronica sono considerati mezzi di identificazione informatica e come tali rientranti nella definizione di firma elettronica data dal legislatore.

D.lgs. n. 82 del 2005, art. 1, comma 1, lettera q) 

firma elettronica: l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica.

L’e-mail, inoltre, viene associata all’indirizzo di posta elettronica che identifica l’utente (attestando l’indirizzo di provenienza) e include degli headers, ossia delle informazioni contenute in un blocco di testo da cui si evince l’indirizzo del mittente, ora, data, oggetto e persino il tragitto effettuato dall’e-mail per giungere a destinazione. Pare potersi affermare, pertanto, che si sia in presenza di una vera e propria firma elettronica, dotata di tutti i requisiti previsti ex lege, poiché i dati elettronici utilizzati come metodo di identificazione informatica sono connessi ai dati che costituiscono il messaggio trasmesso.

In questa ottica, ritenendo l’e-mail quale documento informatico dotato di firma “semplice”, il valore probatorio della stessa può essere liberamente valutabile dal giudice, «tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità».

Si potrebbe obiettare, tuttavia, che sebbene l’accesso alla casella di posta elettronica comporti l’autenticazione dell’utente, ossia l’inserimento di uno user id e relativa password, potrebbe accadere che tali informazioni siano state in precedenza memorizzate in modo tale da consentirne l’accesso immediato. In tale eventualità, quindi, la paternità del documento inviato non corrisponderebbe al formale mittente del messaggio. Inoltre, sussiste la possibilità che il messaggio di posta elettronica ricevuto venga modificato, pregiudicandone l’integrità, o che un’e-mail mai venuta ad esistenza sia addirittura creata ad arte in modo tale da risultare tra i messaggi di posta ricevuti (o inviati).

In sintesi: il giudice può considerare una email come una prova, ma esistono diverse varianti da prendere in considerazione. Per sua natura, il messaggio elettronico è prono a modifiche che impediscono di considerarlo completamente attendibile.

È certamente condivisibile la preoccupazione delineata in relazione alla limitata affidabilità dell’e-mail tradizionale circa l’attribuzione di paternità del messaggio trasmesso e l’integrità di quest’ultimo, cionondimeno non può negarsi che si sia comunque in presenza di un documento elettronicamente firmato, seppur in forma non certificata. Per tale motivo è demandato al giudice il compito di valutare nel caso concreto se l’e-mail prodotta in giudizio possa considerarsi attendibile, anche in relazione agli altri elementi probatori acquisiti.

Tenuto conto dei numerosi dubbi interpretativi sollevati dalla dottrina e dei discordanti orientamenti giurisprudenziali in materia, sarebbe auspicabile tuttavia un intervento del legislatore che faccia chiarezza sul valore giuridico e, in specie probatorio, da attribuire alla posta elettronica non certificata, tentando di risolvere le difficoltà incontrate dagli interpreti nel cercare soluzioni soddisfacenti al complesso e talvolta difficile rapporto sussistente tra diritto e tecnologia.

Dott.ssa Ilaria Mercuri

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