Il caso.

Novità in casa Amazon. Risale a pochi giorni fa la notizia che il colosso americano dell’e-commerce ha ottenuto, negli USA, la registrazione di due brevetti che consentiranno la realizzazione di bracciali “intelligenti”, in grado di conoscere l’esatta posizione delle mani del lavoratore e di emettere segnali al fine di agevolare lo smistamento dei prodotti e minimizzare così gli errori.

Da un punto di vista tecnico, questa nuova tecnologia si basa sulla presenza di trasmettitori a ultrasuoni collocati su ciascuno scaffale, che saranno in grado di percepire l’esatta posizione delle mani del lavoratore, guidandone i movimenti attraverso un impulso trasmesso ai braccialetti indossati, sotto forma di una vibrazione più o meno intensa. Un dispositivo tecnologico di questo tipo, se sarà in futuro realizzato, consentirà di ottimizzare i risultati delle attività di lavoro nei magazzini dell’azienda americana, aumentandone l’efficienza a fronte della diminuzione dei tempi di esecuzione della singola prestazione dovuta a una -auspicata- minimizzazione degli errori.

L’introduzione di uno strumento di questa specie potrebbe tuttavia creare, almeno in Italia, dei problemi in materia di tutela della privacy dei lavoratori. Sì, perché, astrattamente, l’impiego di questi braccialetti potrebbe consentire di conoscere in qualsiasi momento la posizione del lavoratore che li indossa e di monitorarne, quindi, l’attività in tempo reale. Il rischio che si presenta è, dunque, quello che si possa configurare in questo modo un’ipotesi di controllo a distanza dei lavoratori la quale, per legge, è ammissibile solo nei casi previsti dall’art. 4 della L. 300/1970 (c.d. Statuto dei lavoratori) e successivi aggiornamenti (intervenuti, rispettivamente, con d.lgs. 151/2015 e con d.lgs. 185/2016).

La normativa di riferimento in materia di controlli a distanza.

In particolare, il nuovo testo dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori è intervenuto al fine di realizzare un contemperamento tra due opposte esigenze: da un lato, il diritto dei lavoratori a non essere controllati in modo indiscriminato, costante e invasivo nell’esercizio dell’attività lavorativa, e, dall’altro, il necessario adeguamento della normativa all’evoluzione tecnologica che si è verificata a partire dal 1970.

In particolare, la novella normativa ha stabilito innanzitutto  il principio per il quale l’impiego di dispositivi da cui derivi anche la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori presuppone necessariamente un accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, un’autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. L’installazione di siffatti impianti potrà avvenire, sempre secondo il dettato normativo, esclusivamente per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro o per la tutela del patrimonio aziendale (art. 4, comma 1, St. Lav.: “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi”).

Questo accordo o autorizzazione non sono, però, necessari per quegli “strumenti che vengono utilizzati dal lavoratore al fine di rendere la prestazione lavorativa” (art. 4, comma 2). E questa è sicuramente la novità più rilevante introdotta con la riforma del 2015. La nozione utilizzata dal legislatore non è tuttavia definibile in modo preciso, ma, al contrario, si caratterizza per un elevato grado di indeterminatezza.

Questa circostanza fa sorgere l’interrogativo: quali dispositivi e strumenti possono essere utilizzati dal lavoratore senza previa intesa con le rappresentanze sindacali? In quali casi, invece, l’accordo preventivo è necessario? E, nel caso di specie, l’eventuale futura introduzione di questi dispositivi da parte di Amazon come dovrà essere disciplinata?

A questo proposito, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha adottato una posizione rigida, come emerge dalla circolare n. 4 del 26 luglio 2017 (con la quale sono state rese indicazioni sull’installazione e utilizzazione di strumenti di supporto all’attività operativa ordinaria dei Call Center). L’Ispettorato ha ritenuto che l’utilizzo di dispositivi da cui può derivare una forma di controllo a distanza dei lavoratori potrà avvenire senza previa autorizzazione -beneficiando quindi del regime di favore previsto dall’art. 4, comma 2, dello Statuto dei lavoratori- solo quando lo strumento in questione sia indispensabile per l’esercizio dell’attività lavorativa. Così, unicamente nel caso in cui il lavoratore sarebbe impossibilitato all’esercizio delle sue mansioni se non potesse utilizzare tale lo strumento, sarà possibile installare questi dispositivi in assenza dei previsti accordi o autorizzazioni.

Quale disciplina nel caso di specie.

Per queste ragioni, al fine di stabilire quale disciplina dovrà essere applicata alla nuova tecnologia brevettata da Amazon, sarà necessario chiarirne, in via preliminare, l’utilizzo che se ne intende fare in concreto. Cercare soluzione a questo interrogativo appare però, ad oggi, prematuro poiché l’introduzione di tali dispositivi da parte della società americana è un’ipotesi futura e solo eventuale.

In ogni caso, è opportuno evidenziare che la nuova formulazione dell’art. 4, comma 3, dello Statuto dei lavoratori ammette che il datore di lavoro possa servirsi degli elementi raccolti a seguito dell’utilizzo degli strumenti dai quali può derivare un controllo a distanza dei lavoratori e degli strumenti utilizzati dal lavoratore ai fini della prestazione lavorativa, per tutte le finalità connesse al rapporto di lavoro e , quindi, anche a fini disciplinari (art. 4, co. 3, St. Lav.: “Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”). La condizione prevista dalla norma è che siano state fornite al lavoratore adeguate informazioni riguardo alle modalità d’utilizzo degli strumenti e di effettuazione dei controlli, salva comunque l’osservanza delle disposizioni del Codice della Privacy (d.lgs. 196/2003). In particolare, dovranno essere sempre e comunque garantiti alcuni fondamentali principi quali la pertinenza, la correttezza, la non eccedenza del trattamento e il divieto di profilazione, al fine di evitare una vigilanza pervasiva e massiccia delle prestazioni lavorative.

 

Dott.ssa Myriam Mazzonetto

 

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