privacy e internet tutelare dati on lineVogliamo davvero difendere i nostri dati on line? Credo proprio di no. Siti web, blog, social network e quant’altro si possa immaginare per comunicare agli altri la propria presenza on line fanno pensare proprio alla negazione di una vera e propria forma di tutela dei propri dati. Si vuol far conoscere qualunque cosa di sé. Nelle forme giuste, negli spazi adeguati, certo. Non si può parlare di profili professionali su un qualunque social network, ma sul blasonato LinkedIn; non si può fare amicizia se non su Facebook; non si può giocare se non con milioni di altre persone connesse su qualche piattaforma di Massively Multiplayer Online Games (Mmog); non si può avere un avatar se non su Second Life.

Come afferma Umberto Eco, «è paradossale che qualcuno debba lottare per la difesa della privatezza in una società di esibizionisti».
Si ricorre in maniera impulsiva a strumenti comunicativi di massa, come i social network e si diffondono i propri video su YouTube, senza riflettere più di tanto se sia legittimo vomitare su Internet materiale preso qua e là e, soprattutto, senza essere autorizzati dalle persone coinvolte in quel frangente registrato dal cellulare di un bontempone.
Come afferma un autorevole documento firmato dalle Autorità Garanti per la privacy d’Europa, esiste il concreto rischio di perdere il controllo dell’utilizzo dei propri dati una volta pubblicati in Rete. Le informazioni personali di ogni singolo utente vengono trattate non solo dagli altri soggetti appartenenti alla c.d. cerchia di amici, ma «possono raggiungere l’intera comunità degli abbonati al servizio».

Privacy. Concetto ottocentesco

Va ribadito, comunque, che l’importanza del dato personale non è un concetto di recente creazione socio-giuridica. Le prime elaborazioni sul tema della tutela della riservatezza si fanno sentire già a fine Ottocento.
I primi autori a parlare di privacy furono i due giuristi Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis, i quali pubblicarono un breve saggio nel 1890 dal titolo The right to privacy. Secondo i due autori ogni individuo ha il diritto di essere lasciato solo (right to be let alone), di proteggere la propria vita privata, così come è dato proteggere la proprietà privata. Pur se l’intuizione di considerare atto illecito l’intrusione nella propria privacy era (per quei tempi) rivoluzionaria, la teorizzazione di Warren e Brandeis risentiva fortemente dell’impostazione di stampo ottocentesco, così legata all’istituto della proprietà privata.

Il “pendolo” della libertà alla privacy

A seguito dei dibattiti scaturiti dall’articolo di Warren e Brandeis, si assiste a un “processo evolutivo”, che, dal diritto a essere lasciato solo passa attraverso il diritto a controllare l’uso che gli altri fanno delle informazioni, fino ad approdare a quello che si è definito il diritto di scegliere ciò che si intende rivelare.
Insomma, non solo una “libertà da” invadenti sguardi esterni sulla vita privata, ma anche “libertà di” autodeterminazione nello svolgimento della personalità dell’uomo come singolo. E’ questa svolta evolutiva a caratterizzare maggiormente l’epoca in cui viviamo. Il cittadino deve sentirsi libero dalle pressioni esterne, ma deve anche avere la libertà di controllare le informazioni che egli stesso invia all’esterno; insomma, un passaggio fondamentale per la società odierna «dalla privacy alla non discriminazione» e «dalla segretezza al controllo», come acutamente osservato da Stefano Rodotà.

Più tecnologia, meno controllo

Queste importanti statuizioni in tema dei diritti di ogni navigatore, tuttavia, cozzano contro la realtà odierna.
L’esperienza di questi anni ci porta a constatare che a una più elevata disponibilità di tecnologia si accompagna un indebolimento di quei diritti alla privacy (in negativo e in positivo), visti poc’anzi.
Le problematiche che emergono sul tema della privacy, infatti, sono amplificate dalle tecnologie comunicative moderne. Maggiore è la capacità comunicativa degli strumenti tecnologici di cui disponiamo, maggiore sarà il rischio che informazioni personali si disperdano senza il controllo del legittimo interessato. E’ questo che accade soprattutto in Internet, dove gli attentati alla riservatezza dei navigatori sono all’ordine del giorno e dove è impossibile transitare «senza lasciare tracce».

Alcuni consigli da applicare su Internet

Da quanto analizzato sopra, non resta che dare alcuni consigli per tutelare i propri dati on line.
Non fornire proprie informazioni su Internet, se non dopo aver valutato attentamente: la correttezza nel trattamento dei dati personali (si vedano i forum, dove gli amministratori potrebbero non avere le competenze adeguate da un punto di vista privacy); se e in quale misura pubblicare determinate informazioni su network specificamente dedicati a rapporti lavorativi/personali (principio di proporzionalità); l’uso di pseudonimi (consentiti dalla legge, ma con una tutela limitata).
I minori non dovrebbero mai rendere noti indirizzo di casa e numero di telefono.
Non fornire mai dati di tipo sensibile, poiché molto spesso chi le tratta non è in linea con il Codice della privacy (necessita del consenso per iscritto).

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