Registrare le conversazioni con persone presenti: è legale? Con la sentenza 13 maggio 2011 n°18908, la terza sezione penale della Corte di Cassazione si è espressa sul tema della liceità della registrazione di comunicazioni intercorse tra presenti. In particolare, nel ricorso proposto alla Suprema Corte, veniva richiesto di pronunciarsi avverso il rigetto dell’istanza di riesame del decreto di convalida del sequestro di una penna in cui erano incorporati un microfono e una videocamera, istanza proposta al Tribunale di Tempio di Pausania.
Nel dichiarare infondato il ricorso, la Corte affermava come il sequestro fosse da considerare opportuno in relazione alla fattispecie criminosa disciplinata dall’articolo 167 del D.Lgs. n. 196 del 2003.
Ai sensi della normativa ivi considerata, l’ipotetica fattispecie criminosa è astrattamente configurabile in capo al privato che tratta dati personali altrui (intendendosi per trattamento dei dati personali anche la registrazione di comunicazioni, come previsto dall’art. 4, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 196/2003) in assenza del consenso dell’interessato provvedendo nel contempo a diffondere a terzi il contenuto di questi dati.
La Corte, pur non rinvenendo comportamenti illeciti nella fattispecie concreta, riteneva infondato il ricorso affermando la sussistenza delle esigenze probatorie sottese al sequestro. Secondo l’avviso dei giudici, era infatti necessario verificare se il ricorrente avesse destinato a terzi i dati in questione, con l’obiettivo di procurare profitto per sé o per altri o di recare danno per i titolari dei dati personali acquisiti.
Nelle more della sentenza e nel rispetto dei limiti sopra elencati, la Cassazione non ha rinvenuto profili di illiceità nell’atto di registrazione di conversazioni tra presenti, in quanto “chi conversa accetta il rischio che la conversazione sia documentata mediante registrazione”. Ciò assume notevole rilevanza se posto in relazione con la norma contenuta nella lettera f) dell’articolo 24 del D.Lgs. 196/2003, la quale ammette la possibilità di diffusione della conversazione medesima esclusivamente per la tutela di un diritto proprio o altrui in sede giudiziaria.
Nel ragionamento sotteso alla sentenza e ai sensi della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali, viene ritenuta invero sanzionabile in assenza del consenso dell’interessato e della previa autorizzazione del Garante della Privacy l’ipotesi in cui le conversazioni trattate contenessero dati sensibili o giudiziali, ovvero dati idonei a rivelare lo stato di salute.
Per quanto riguarda l’ipotesi del trattamento dei dati personali e quindi della registrazione di comunicazioni tra presenti effettuato da persone fisiche per fini esclusivamente personali, la Corte ha ritenuto legittime tali azioni anche in assenza del consenso dell’interessato, che resta comunque obbligatorio se il privato pone in essere una comunicazione sistematica e diffusione delle medesime.
Evitando di trattare in questa sede la problematica relativa all’utilizzabilità o meno di queste registrazioni in un processo penale e della loro valenza, sembra utile ricordare come l’orientamento della Cassazione sovraesposto sembri confermare la decisione del TAR del Lazio n. 4847/2006.
In questa sentenza, richiamando l’articolo 234 del c.p.p., il Tribunale Amministrativo ha ritenuto la registrazione di un colloquio quale una “registrazione fonica di un fatto storico”, non rinvenendo alcuna illiceità nella condotta posta in essere dal soggetto agente.
In questo caso, la registrazione di colloqui in ambito lavorativo era finalizzata alla loro utilizzazione in sede giudiziale, affinché potessero essere perseguiti una serie di illeciti posti in essere dai superiori gerarchici consistenti in forme di demansionamento.
Come sopra, anche in questa circostanza non venivano ravvisati profili di illiceità, stante il pieno rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali.
In conclusione, posto l’ulteriore obbligo in capo ai soggetti che abbiano effettuato la registrazione di custodirla e controllarla in modo da ridurre al minimo i rischi di perdita accidentale, di accesso non autorizzato e di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta, l’attività di registrazione di conversazioni tra presenti è da considerarsi pienamente legittima.
La sentenza è consultabile, nel suo testo integrale, in questa rivista.