L’incessante evoluzione tecnologica ha provocato un rapido mutamento dei rapporti nel mondo del lavoro nell’ultimo ventennio.

Tra le novità si distingue il cosiddetto telelavoro, o lavoro agile, che ha preso piede a partire dalla fine degli anni novanta, riuscendo in poco tempo ad innovare l’attività lavorativa, sia sotto l’aspetto occupazionale, sia sotto quello propriamente lavorativo.

C’è stato infatti un passaggio dalla tipica idea di lavoro localizzato e centralizzato in azienda a quella di un lavoro decisamente più flessibile in cui il lavoratore, pur godendo delle medesime garanzie dei lavoratori “in sede”, svolge il proprio lavoro in un luogo diverso (da casa, in un “centro satellite”, durante qualunque momento della giornata tramite pc, cellulare o tablet), trasmettendo direttamente il risultato del proprio lavoro mediante strumenti telematici.

 

La disciplina in Italia

Per quanto riguarda la disciplina del telelavoro in Italia, una primaria distinzione va effettuata tra settore privato e pubblico.

Nel primo caso non abbiamo infatti una vera e propria disciplina, ma vi è un rimando all’accordo interconfederale del 9 giugno 2004, attuativo dell’accordo quadro europeo sul telelavoro datato 16 luglio 2002.

L’accordo, recepito da rappresentanti dei datori di lavoro e sindacati, ha l’obiettivo di fornire una disciplina generale, senza entrare nel dettaglio. Tale compito venne infatti lasciato ai contratti collettivi.

Brevemente, l’accordo quadro prevede che sia compito del datore di lavoro occuparsi di eventuali consumi, dei costi di fornitura, manutenzione, installazione e riparazione di attrezzature e di tutte le misure necessarie al fine di garantire che il lavoratore sia tutelato e non isolato.

Quest’ultimo, invece, da un lato, può gestire in maniera libera il proprio orario di lavoro, ma dall’altro lato i suoi carichi di lavoro non saranno differenti rispetto a quelli dei lavoratori presenti in azienda.

Per quanto attiene al settore pubblico, invece, il telelavoro è disciplinato dalla legge n. 191/1998 (meglio nota come Bassanini ter) congiuntamente col d.p.r. 70/99 e con l’accordo quadro dell’8 giugno 2011.

Il trattamento retributivo e disciplinare dei dipendenti è rimesso, anche in questo caso, alla contrattazione collettiva e nazionale.

I diritti, ed i relativi doveri, dei telelavoratori sono uguali a quelli dei dipendenti che operano direttamente all’interno della struttura amministrativa.

Più recentemente è stato introdotto anche il “decreto Crescita 2.0”, contenente l’obbligo, per le P.A., di stilare un piano per l’attività telelavorativa, specificando come essa si deve sviluppare ed in quali casi non si possa utilizzare.

 

Le problematiche nel telelavoro

Nonostante i notevoli aspetti positivi, basti pensare che le aziende internazionali che utilizzano il telelavoro hanno registrato un incremento della produttività pari al 35-40% ed un decremento dell’assenteismo pari al 60%, tale forma di lavoro ha stentato a decollare in Italia.

Ma quali sono i motivi alla base di ciò?

Innanzitutto, il rischio primario è quello di non avere orari effettivi di lavoro. E’ vero, naturalmente, che i telelavoratori potrebbero sentirsi più liberi di gestire il proprio lavoro, ma la trappola di “non staccare” mai effettivamente dal lavoro è dietro l’angolo.

Secondo il report dell’ILO (l’Organizzazione internazionale del lavoro) e dell’Eurofound denominato “Working anytime, anywhere: the effects on the world of work”, i telelavoratori svolgerebbero un numero di straordinari superiore rispetto ai colleghi “stabili”.

Non dovendo recarsi sul luogo di lavoro, infatti, il lavoratore potrà dedicare quel tempo per attività lavorative, divenendo “reperibile” per il datore di lavoro anche durante quelle ore generalmente dedicate al riposo.

Si tratta di ore di lavoro che spesso e volentieri non vengono considerate alla stregua di straordinari e non vengono pertanto retribuite.

Altra problematica attinente a questa forma di lavoro è quella relativa all’isolamento a cui vanno incontro i soggetti che lo svolgono, non instaurando un rapporto diretto con i propri colleghi, nonché ai problemi fisici che spesso derivano dalla mancanza di attrezzature adeguate come, invece, si trovano sui luoghi di lavoro.

Per quanto riguarda poi il controllo che il datore di lavoro effettua sull’operato del telelavoratore, esso può avvenire in due modi: o tramite ispezione presso il luogo di lavoro (ad es. presso l’abitazione) o con un controllo telematico. In questo caso, però, qualora il datore di lavoro volesse installare hardware e software di controllo, dovrà prima ottenere il via libera dei sindacati, dare notizia al lavoratore e l’eventuale installazione dovrà risultare proporzionata all’obiettivo perseguito.

 

Conclusioni

A fronte di queste problematiche, il rapporto ILO ha posto l’accento sulla possibilità di introdurre un contratto di telelavoro part-time, così da poter permettere ai dipendenti di mantenere eventuali rapporti con i propri colleghi, riducendo anche eventuali straordinari.

Recentemente, precisamente con la legge 81/2017, il telelavoro è stato soppiantato dal cosiddetto “smart working” (o lavoro agile), con cui il lavoratore subordinato organizza, di concerto con il datore di lavoro, lo svolgimento della prestazione lavorativa al di fuori dell’azienda.

Sono stati quindi regolamentati determinati aspetti del lavoro svolto all’esterno dei locali aziendali, come la previsione di tempi di riposo per il lavoratore, forme di controllo da parte del datore di lavoro sull’operato del dipendente, l’aspetto disciplinare e sanzionatorio ed eventuali diritti all’apprendimento.

Anche l’aspetto economico è stato curato, con la previsione di un trattamento non inferiore rispetto a quello generalmente applicato verso i lavoratori in azienda.

Il telelavoratore avrà inoltre diritto alla tutela avverso infortuni sul lavoro e malattie professionali, nonostante siano svolti all’esterno dei locali aziendali.

In conclusione, sono auspicabili ulteriori interventi del legislatore nazionale al fine di garantire crescenti tutele per i telelavoratori e per rendere finalmente più appetibile questa tipologia di lavoro anche in Italia.

Il nostro paese è infatti al di sotto della media europea del 17% di lavoratori dipendenti, con i paesi scandinavi (Danimarca in primis) che padroneggiano, arrivando a toccare punte del 40% di telelavoratori.

 

Dott. Giuseppe Messina

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