Il diritto all’oblio si configura come il diritto che i singoli soggetti hanno a veder cancellate dal motore di ricerca particolari informazioni che a loro si riferiscono e per le quali non vogliono essere ricordati. Si tratta, quindi, di un vero e proprio diritto ad essere dimenticati (c.d. right to be forgotten).
Si badi bene che le informazioni di cui si può richiedere la cancellazione non devono per forza essere diffamatorie o false o riservate. Anzi. I dati a cui si fa riferimento sono dati veri, che in passato erano stati anche legittimamente pubblicati, ma che ad oggi non risultano più idonei a descrivere l’identità personale di un determinato soggetto.
Ad ogni modo, tale tipo di tutela non è così automatica come potrebbe sembrare e la cancellazione delle informazioni in questione non avviene dietro la semplice richiesta del soggetto interessato: ci sono dei requisiti che devono essere rispettati e dei limiti che non devono essere superati. Vediamo quali sono.
La rilevanza pubblica dei dati
Il diritto all’oblio può, senza ombra di dubbio, essere considerato un valido strumento per la protezione sociale dell’identità personale. Tuttavia, ciò non toglie che, a volte, tale forma di tutela possa entrare in contrasto con il diritto di cronaca, inteso come diritto a pubblicare tutto ciò che è collegato a fatti ed avvenimenti di interesse pubblico (e riconosciuto dall’ordinamento italiano come libertà di manifestazione di pensiero).
Pertanto, uno dei primi ostacoli che la giurisprudenza si è trovata a dover superare, è consistito nel contemperamento di queste due diverse forme di tutela, entrambe costituzionalmente garantite, stabilendo che il diritto di cronaca prevale sul diritto all’identità personale nel caso in cui sussista un interesse pubblico alla diffusione dei fatti (Cass., civ., sent., n. 978/1996). Ne deriva che, se tale interesse pubblico dovesse essere assente o comunque non idoneo a giustificare una compressione del diritto all’oblio, si configurerebbe un’illecita lesione del diritto alla riservatezza, che consentirebbe al soggetto interessato di pretendere che le proprie passate vicende personali siano pubblicamente dimenticate (“la riattualizzazione dell’interesse pubblico può giustificare una nuova compressione di quei beni, ma deve trovare un nuovo punto di equilibrio con il diritto all’oblio, la cui maturazione, nel frattempo, può aver lenito o rimarginato l’offesa arrecata alla reputazione dalla notizia a suo tempo diffusa ovvero, addirittura, ricostituito la stessa reputazione ove questa, per gravità della vicenda, fosse stata distrutta dalla legittima informazione” Cass., pen., sent., n. 45051/2009).
Il profilo soggettivo della rilevanza pubblica dei dati
Vi è da precisare, inoltre, che il requisito della rilevanza pubblica può essere valutato non solo sotto il profilo oggettivo (ossia, in riferimento alla notizia in questione), ma anche sotto il profilo soggettivo (ossia, avendo riguardo della particolare qualifica del soggetto a cui la notizia fa riferimento).
In particolare, si tende a negare che il diritto all’oblio possa essere esercitato relativamente alle informazioni riguardanti personalità pubbliche. Chi collocare all’interno di tale categoria lo hanno stabilito le Guidelines del WP29, che pur osservando come, ad oggi, esista ancora molta incertezza in merito al significato di “ruolo svolto nella vita pubblica” e non sia possibile parlare di tassatività di tale concetto, vi ricomprende tutti coloro che svolgono attività di carattere politico o ricoprono alte cariche pubbliche diverse da quelle politiche (es: magistrati, dirigenti delle pubbliche amministrazioni, ecc.).
Nel caso in cui, quindi, la notizia faccia riferimento ad un soggetto ricoprente queste particolari cariche, la cancellazione dello stesso potrebbe non essere così automatica, posto che potrebbe non essere venuto meno l’interesse pubblico nei confronti del dato di cui si richieda l’eliminazione dalla rete.
La recente pronuncia del Tribunale di Milano
In merito al tema oggetto di trattazione, vi è da citare un’interessante pronuncia del Tribunale di Milano, che intervenuto in materia il 28 settembre scorso (Trib. Milano, sent. n. 10374/2016) dichiarando la non sussistenza di interesse pubblico nei confronti di informazioni contenute in un articolo di critica politica, pubblicato nel 2010 (“i dati personali della ricorrente – trattati nel 2010 – risultano, alla luce delle considerazioni appena svolte, non pertinenti, non completi e non aggiornati. In difetto dei predetti requisiti, l’interesse pubblico – astrattamente configurabile atteso che trattasi di un componente di un’autorità indipendente – deve ritenersi del tutto insussistente”).
Il caso riguardava una donna che aveva presentato ricorso ai sensi dell’art. 152 D. lgs. n. 196/2003 (“tutte le controversie che riguardano, comunque, l’applicazione delle disposizioni del presente codice, comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali o alla loro mancata adozione, […] sono attribuite all’autorità giudiziaria ordinaria”), chiedendo la deindicizzazione della URL rispetto alla ricerca con le parole chiave recanti il suo nome. Quali motivazioni, la ricorrente adduceva che il testo dell’articolo che la riguardava era manifestamente diffamatorio e non idoneo a soddisfare la conoscenza delle informazioni contenute.
Il giudice ambrosiano ha accolto il ricorso affermando che il diritto per cui la ricorrente agiva non costituiva semplicemente un diritto della personalità, ma un vero e proprio diritto all’identità personale, da intendersi come diritto alla “dissociazione” del proprio nome da un determinato risultato di ricerca.
In questo senso, il diritto a riconfigurare la propria immagine telematica si configura come funzionale a tutelare il proprio diritto all’identità personale: l’essere umano è in continuo divenire ed ha, in virtù di ciò, il diritto di vedersi rappresentato nel suo cambiamento, con connesso diritto a vedere eliminati i dati personali, che sono presenti in rete e che lo riguardano, ma che non sono più attuali.
Pertanto, il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso, stabilendo che i dati personali relativi alla ricorrente trattati in un articolo di critica politica, seppur ancora astrattamente attuali in virtù del ruolo ricoperto dalla stessa, non rivestivano più alcun carattere di pubblico interesse.
Conclusioni
Tutto quanto considerato, non vi è dubbio su una cosa: dimenticare è, sicuramente, più difficile che ricordare. E internet difficilmente dimentica. Detto ciò, non vi è dubbio che il diritto all’oblio sia sicuramente uno dei risultati più apprezzabili che sia stato raggiunto in seguito alla diffusione delle più avanzate forme di tecnologia.
Ciò non toglie che dubbi rimangano sulla effettiva capacità del diritto all’oblio di incidere in modo pienamente efficace sulla diffusione dei dati personali sul web, soprattutto se si considera il modo del tutto peculiare con cui i gestori dei motori di ricerca trattano i dati personali.
L’augurio rimane quello di vedere attuata quanto prima una regolamentazione analitica e dettagliata della materia, che sia in grado di delineare un quadro completo di obblighi e responsabilità per tutti i diversi soggetti operanti all’interno della rete.
Dott.ssa Giulia Grani