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Il crescente utilizzo dei social network, pur a fronte dei molteplici vantaggi offerti dal punto di vista della facilità della comunicazione tra gli utenti, dà luogo a una serie di criticità laddove travalichi l’ambito della vita privata, giungendo a coinvolgere anche la sfera professionale dell’individuo.

La veridicità di quanto appena affermato appare ancor più evidente laddove si considerino i sempre più frequenti episodi di pubblicazione di fotografie scattate all’interno degli ospedali e nelle sale operatorie sulle pagine social di esercenti le professioni sanitarie.

Ma, al di là dell’aspetto ludico, quali sono i rischi e le conseguenze giuridiche dei selfies in corsia pubblicati sui social network?

Selfies in corsia: diritto all’immagine e privacy del paziente.

Si profila, in primo luogo, una possibile violazione del diritto all’immagine di pazienti o colleghi immortalati nello “scatto in camice”, nonché del loro diritto alla privacy.

La legge sul diritto d’autore tutela il diritto all’immagine dell’individuo stabilendo che il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di quest’ultima (art. 96, L. 633/1941).

Analogamente, il Codice civile consente all’interessato la cui immagine sia stata illecitamente esposta o pubblicata di ricorrere al giudice ordinario per ottenere la rimozione della stessa ed il risarcimento del danno, specie se tale pubblicazione leda la dignità del soggetto ritratto. Ai sensi dell’art. 10 c.c., infatti, “qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”.

Tale forma di tutela è rafforzata dal Codice della privacy, che detta specifiche e severe sanzioni laddove si violi l’altrui diritto alla riservatezza effettuando un trattamento illecito di dati personali – quale è suscettibile di essere la divulgazione dell’immagine altrui sui social network in violazione delle disposizioni previste dal medesimo Codice  – laddove dal fatto derivi nocumento o laddove il fatto consista nell’illecita comunicazione o diffusione di dati personali (art. 167, D. Lgs. 196/2003).

Per verificare se le condotte oggetto di esame costituiscano violazione della privacy, occorre considerare che il fine esclusivamente personale del trattamento di dati personali effettuato da persone fisiche, in assenza di comunicazione sistematica e/o diffusione dei dati stessi, non impone il rispetto di ulteriori prescrizioni se non quelle dettate dal Codice privacy in materia di sicurezza e responsabilità dei dati (art. 5, comma 3, D.Lgs. 196/2003).

Al riguardo, tuttavia, la Corte di Cassazione ha chiarito che costituisce illecito trattamento di dati personali effettuato da persone fisiche sia l’utilizzazione di dati che esuli dalla sfera personale dell’agente (e che, in quanto tale, non può essere qualificata come sorretta da “fini esclusivamente personali”), sia la condotta che, pur realizzata per fini esclusivamente personali, consista nella diffusione dei dati a una platea di soggetti indeterminati, ancorché in forma non sistematica (Cassazione, 19 ottobre 2016, n. 6587).

E tale è la condotta dell’esercente le professioni sanitarie che pubblichi sulla propria pagina social gli scatti “rubati” in corsia.

Social network e professioni sanitarie: profili giuridici.

Ma la potenzialità lesiva dei selfies in ospedale risulta aggravata nell’ipotesi di condivisione e diffusione sui social network di tali immagini, spesso idonee peraltro a divulgare dati sensibili, quali sono le informazioni sanitarie.

Con riguardo alla pericolosità della diffusione di informazioni personali sui social network, si è espresso di recente il Garante per la protezione dei dati personali (seppur in una vicenda che non riguardava l’attività medico-sanitaria), affermando che l’“estrema pervasività” della divulgazione di dati personali tramite i social network è idonea ad aggravare estremamente le potenziali violazioni dei diritti della persona che siano perpetrate con tali mezzi (provvedimento n. 75 del 23 febbraio 2017).

In particolare, l’Autorità ha affermato che la pubblicazione di un post su Facebook non è mai “per soli amici”, anche se avviene su di un profilo accessibile solo a un gruppo ristretto di contatti.

Secondo il Garante della Privacy, infatti, il carattere “chiuso” di un profilo e la sua accessibilità esclusivamente ad un esiguo numero di “amici” sono circostanze non dimostrabili da parte dell’utente, il quale ha in ogni momento la facoltà di modificare facilmente il proprio profilo da “chiuso” ad “aperto”. Tanto, senza considerare che, come ritenuto dall’Autorità, sussiste inoltre la possibilità che un “amico” condivida le immagini postate sulla propria pagina personale, rendendole così visibili ad altri utenti, e rendendo in tal modo astrattamente conoscibili a tutti gli iscritti a Facebook i contenuti condivisi, ancorché potenzialmente lesivi della privacy.

Spettacolarizzazione delle attività sanitarie ed etica professionale.

Ma le conseguenze dell’uso improprio dei social media in sanità possono riverberarsi anche sul rapporto di fiducia tra il paziente ed il sistema sanitario nel suo complesso. La violazione dei confini professionali da parte del sanitario “selfista”, infatti, pregiudica inevitabilmente non solo l’immagine del singolo, ma anche quella dell’Ordine cui questi appartiene e del sistema sanitario tutto.

Sul punto, si è espresso di recente il Ministero della Salute, invitando tutti gli Organismi Nazionali di rappresentanza istituzionale dei professionisti sanitari a vigilare ad attivarsi affinché non dilaghi tra i propri iscritti il fenomeno del selfie sul luogo di lavoro, richiamando al rispetto dell’etica e della deontologia professionale (nota Ministero della Salute del 29 marzo 2017).

In particolare, stigmatizzando l’utilizzo incontrollato dei social network presso le corsie di ospedali o le sale operatorie, il Ministero ha chiarito che la spettacolarizzazione delle attività sanitarie, oltre ad essere idonea a ledere la privacy dei pazienti, compromette tanto l’immagine degli stessi professionisti sanitari, quanto il rapporto di fiducia fra paziente e sistema sanitario nel suo complesso.

Sulla scorta di tali principi, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri ha trasmesso una nota all’Ordine dei Medici di Brescia, invitando l’ente contrastare l’uso improprio dei social network in ambito sanitario.

Tale comportamento, secondo la Federazione Nazionale, potrebbe tradursi in un abuso del proprio status professionale, in contrasto con i principi deontologici, laddove violi la dignità del paziente, soprattutto in un frangente così delicato per la sua vita quale è la permanenza in una struttura ospedaliera.

Conclusioni.

La condotta del professionista sanitario che nel corso dell’attività lavorativa esegua scatti fotografici sul posto di lavoro pubblicandoli sui social network rileva, oltre che quale illecito civile da violazione dell’altrui diritto all’immagine ed alla riservatezza, fonte di responsabilità risarcitoria, anche quale profilo di responsabilità professionale da violazione di norme deontologiche. Laddove tale condotta violi le norme di cui al Codice privacy, essa integrerà altresì la fattispecie del trattamento illecito di dati personali, fonte di responsabilità penale in capo a colui che l’abbia posta in essere.

 Avv. Giulia Caruso

 

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