Con la modernizzazione dell’avvocatura, che tende sempre più ad avvicinarsi ad una sorta di attività imprenditoriale, il ruolo della pubblicità per avvicinare la clientela è un tema che sta facendo ancora discutere, soprattutto in relazione al divieto di accaparramento di clientela sancito dal Codice Deontologico Forense (art. 37: “1. L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro. 2. L’avvocato non deve offrire o corrispondere a colleghi o a terzi provvigioni o altri compensi quale corrispettivo per la presentazione di un cliente o per l’ottenimento di incarichi professionali. 3. Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi. 4. E’ vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico. 5. E’ altresì vietato all’avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare. 6. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”).

I divieti che sono stati posti alla nobile e antica attività dell’avvocato, tuttavia, con il tempo hanno cominciato ad essere sempre più labili anche a causa dei mutamenti legislativi in tema di informazione e pubblicità sull’attività professionale in generale e delle numerose pronunce dell’Autorità Antitrust nei confronti del Consiglio Nazionale Forense che ha per molto tempo continuato a conservare una concezione tradizionale dell’attività.

Sulla spinta delle premesse appena fatte, il CFN ha adottato di recente una pronuncia che ha introdotto delle modifiche all’articolo 35 del Codice Deontologico Forense “ammorbidendolo”: viene infatti adesso consentita la pubblicità tramite web anche attraverso l’utilizzo di domini non propri, dunque è ora possibile pubblicizzare l’attività anche tramite pagine di social network, cosa che in precedenza era espressamente preclusa.

Analizzando il dettato della norma, possiamo notare come ci si muova sempre più verso un affievolimento della differenza tra informazione e pubblicità e si ponga l’attenzione più che altro sulla veridicità delle informazioni che vengono poste all’attenzione del pubblico.

Nell’articolo analizzerò inizialmente il quadro normativo sulla pubblicità nelle libere professioni per poi porre l’attenzione sull’attività dell’avvocato e le modifiche apportate di recente.

 

Il quadro normativo

Le aperture alla possibilità di fare pubblicità sulla propria attività sono cominciate con il DL 223/2006 (decreto Bersani, convertito in L. 248/2006) che ha espressamente abrogato ogni disposizione regolamentare e legislativa contraria alla possibilità, per un libero professionista, di pubblicizzare e informare su titoli, specializzazioni e servizio offerto (anche su prezzo), con l’ovvio limite della veridicità delle informazioni fornite.

Una piena liberalizzazione della pubblicità sulle attività professionali è stata poi attuata dal DL 138/2011 (cd. “manovra bis”, poi L. 148/2011), che, come in precedenza limitava questa possibilità con il solo vincolo della non ingannevolezza delle notizie (principi ribaditi dal d.p.r. 137/2012 art. 4: “1. E’ ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni. 2. La pubblicità informativa di cui al comma 1 dev’essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non dev’essere equivoca, ingannevole o denigratoria. 3. La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145.”).

Stesse possibilità di libera pubblicità offre, da ultimo, la legge 247/2012 (Ordinamento Forense, art. 10) che indica espressamente la possibilità di pubblicizzare l’attività tramite i mezzi informatici, vietando, tuttavia (a differenza delle precedenti normative) la possibilità di indicare i compensi relativi alle prestazioni offerte (disposizione tuttavia sanzionata più volte dall’Autorità Antitrust per violazione della libera concorrenza sancita all’articolo 101 del TFUE).

 

La pubblicità tramite il web

Sulla spinta delle reiterate sanzioni inflitte dall’Autorità Antitrust, il CFN ha adottato una delibera (23 ottobre 2015 e comunicata in Gazzetta Ufficiale il 3 maggio 2016) che ha apportato delle modifiche all’articolo 35 del Codice Deontologico Forense.

Confrontando il vecchio dettato normativo con quello modificato notiamo come, mentre in precedenza veniva preclusa la possibilità di pubblicizzare la propria attività professionale tramite domini web non di proprietà dello stesso professionista, ora ciò è consentito con qualsiasi mezzo con il limite della verità, trasparenza, segretezza e riservatezza delle informazioni fornite (viene dunque abrogato il vecchio comma 9 dell’articolo: “l’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso.”).

Viene, inoltre, abrogato il comma 10 dello stesso articolo che affermava così “l’avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l’indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito”.

Vi è, dunque, un’apertura più ampia e senza limitazioni (eccetto quelle appena citate) nella possibilità di pubblicizzare la propria attività tramite ogni canale comunicativo (come possono esserlo anche i social network) edè prevista, altresì, la possibilità di inserire banner e riferimenti pubblicitari a soggetti terzi sul proprio sito (scelta lasciata al libero giudizio del professionista).

Le modifiche apportate sono pienamente condivisibili poiché, oltre ad essere concilianti nei confronti del TFUE e delle relative decisioni adottate dall’Autorità Antitrust, tengono conto indubbiamente del mutare dei tempi e del cambiamento che sta attraversando l’attività dell’avvocato, che si sta sempre piùsvincolando dalla sua concezione tradizionale (era infatti illogico non consentire il pieno utilizzo di ogni canale comunicativo per informare il pubblico riguardo alle caratteristiche della propria attività).

 

 

Dott. Luigi Dinella

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