Per l’applicazione dell’art. 171-bis, comma 1, legge 633/41, non è più previsto il dolo specifico del “fine di lucro” ma quello del “fine di trame profitto”; si è, quindi, determinata un’accezione più vasta che non richiede necessariamente una finalità direttamente patrimoniale ed amplia quindi i confini della responsabilità dell’autore. La detenzione e l’utilizzo di numerosi programmi software, illecitamente riprodotti, nello studio professionale rende manifesta la sussistenza del reato contestato, sotto il profilo oggettivo e soggettivo (Cassazione penale Sez. III Sent., 19/06/2008, n. 25104).


Svolgimento del processo – Motivi della decisione

OSSERVA

1) Con sentenza del 25.6.2007 il GUP del Tribunale di Lecco applicava a M.G., previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la diminuente per la scelta del rito, la pena concordata ex art. 444 c.p.p. di Euro 9.400,00 di multa (di cui Euro 5.400,00 in sostituzione di mesi 4 di reclusione) per il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis, comma 1, come modif. dalla L. n. 248 del 2000, per avere, al fine di trame profitto, duplicato e riprodotto programmi software, di proprietà della società Microsoft Italia spa ed Autodesk inc., Adobe System Incorporeted, Symantec Corporation, senza averne acquistato la licenza d’uso.

Propone ricorso per cassazione il M., a mezzo del difensore, per violazione di legge (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. stante l’insussistenza dell’ipotesi contestata a carico del ricorrente (dallo stesso tenore letterale della L. n. 633 del 1941, art. 171 bis risulta che la norma mira a colpire esclusivamente l’illecita riproduzione di software finalizzata al commercio, mentre il M. si avvaleva degli stessi nello studio privato e per scopi professionali interni allo studio medesimo); in via gradata era configurabile un’ipotesi di responsabilià L. n. 633 del 1941, ex art. 174 ter, comma 1, che punisce con la sola sanzione amministrativa l’abusivo utilizzo, per esclusivi fini professionali, di prodotti informatici, privi della licenza d’uso.

Con il secondo motivo denuncia il difetto di motivazione in ordine al dolo specifico richiesto dalla norma, essendosi il GUP limitato a richiamare il fatto materiale dell’assenza di alcune licenze di software, attribuendo una sorta di responsabilità oggettiva al titolare dello studio.

2) Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione delle stesse, sull’entità della pena, su eventuali benefici. Da parte sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non emerga in modo evidente una della cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p.. Ne consegue che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art. 444 c.p.p., l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie perchè essi sono coperti dal patteggiamento.

Con il ricorso per cassazione, pertanto, possono essere fatti valere errores in procedendo ed il mancato proscioglimento ex art. 129 c.p.p..

E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che nell’ipotesi di concordato di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. o ex art. 599 c.p.p. la motivazione del giudice sull’assenza dei presupposti che legittimano l’operatività di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p. può essere anche meramente enunciativa o implicita. Il giudice è tenuto, cioè, a controllare l’inesistenza di una delle cause di non punibilità, ma può enunciare, con motivazione anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 2 n. 14023 del 3.2.2004; conf. Cass. pen. sez. 6 n. 41712 del 2.10.2006).

2.1) Tanto premesso, osserva il Collegio che i motivi di ricorso appaiono manifestamente infondati, avendo il giudice, nell’applicare la pena concordata, congruamente, nei termini sopra indicati, e correttamente motivato in ordine alla insussistenza delle condizioni per l’applicabilità dell’art. 129 c.p.p..

Per la configurabilità del reato del reato di cui all’art. 171 bis non è richiesto, infatti, che la riproduzione dei software sia finalizzata al commercio, essendo sufficiente il fine di profitto, come contestato, nè il dolo specifico del fine di lucro.

Ha più volte affermato questa Corte che, a seguito della modifica della L. 27 aprile 1941, n. 633, art. 171 bis, comma 1 (apportata dalla L. 18 agosto 2000, n. 248, art. 13), non è più previsto il dolo specifico del “fine di lucro” ma quello del “fine di trame profitto”; si è, quindi, determinata un’accezione più vasta che non richiede necessariamente una finalità direttamente patrimoniale ed amplia quindi i confini della responsabilità dell’autore (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3, del 6.9.2001 n. 33303; Cass. pen. sez. 3, 9.1.2007 n. 149).

La detenzione e l’utilizzo di numerosi programmi software, illecitamente riprodotti, nello studio professionale rende manifesta la sussistenza del reato contestato, sotto il profilo oggettivo e soggettivo.

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.500,00 (art. 616 c.p.p.).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.500,00.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2008.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2008

 

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