La tutela penale del bene "software" non può spingersi fino ad impedire all’acquirente di un programma per elaboratori – sempre che lo stesso sia regolarmente contrassegnato – la sua utilizzazione al fine di svolgere la propria attività professionale. Nella fattispecie non possono nutrirsi dubbi in ordine alla buona fede del giudicabile il quale ha acquistato tutti i computer con i relativi programmi in essi contenuti da una ditta specializzata nel settore.

(Trib. Genova, 20/04/2007)

Testo integrale della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI GENOVA
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA


ha pronunciato la seguente SENTENZA
nel procedimento penale CONTRO:
V.G. elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. M.M. del Foro di Genova.
LIBERO PRESENTE IMPUTATO
Del reato di cui all’art. 171 bis comma 1 della legge 22.04.41 n. 633 perché, nella qualità di legale rappresentante della V. s.r.l. – deteneva a scopo commerciale/imprenditoriale i programmi per elaborare, di seguito meglio indicati, contenuti in supporti non contrassegnati dalla SIAE:
1) Microsoft Office 97 (sei installazioni)
2) Microsoft Windows 98 (una installazione)
3) Norton Antivirus (due installazioni).

CONCLUSIONI

IL P.M:
attenuanti generiche per adeguare la pena al fatto, mesi 4 di reclusione e Euro 2.000,00 di multa;

IL DIFENSORE:
assoluzione perché il fatto non costituisce reato o con la formula meglio vista

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con decreto di citazione regolarmente notificato V.G. era citato in giudizio per rispondere del reato in epigrafe. Dopo alcuni rinvii determinati dall’astensione dall’udienze degli avvocati, all’udienza del 22/1/2007 erano ammesse le prove documentali e orali richieste dalle parti ed erano sentiti, in qualità di testimoni, l’appartenente alla Guardia di Finanza D.G., V.F., C.A., F.F. e O.L.; all’odierna udienza verranno escussi gli altri testi indicati dalla difesa (R.E. e B.F.) e, dopo alcune spontanee dichiarazioni del giudicabile, le parti formulavano le conclusioni sopra riportate.

Dalle testimonianze assunte nonché dai documenti depositati è emerso che in data 9 luglio 2002 alcuni militari della Guardia di Finanza, unitamente ad un ausiliario esperto in materia di computer, si recarono presso la sede della V. srl in Genova. In tale occasione – pur non essendo stato rinvenuto alcun programma per elaboratori illecitamente riprodotto o contraffatto – venne riscontrata l’avvenuta installazione, nel disco fisso dei computer della società, dei programmi e degli anti virus indicati nel capo di imputazione senza che la società avesse potuto esibire la licenza d’uso dei medesimi. Questi ultimi erano stati sequestrati in quanto ritenuti illecitamente riprodotti o comunque non legittimamente posseduti. Non è stata compiuta dai verbalizzanti alcuna ulteriore indagine in merito alla data di installazione dei software ovvero in merito alla numerazione del programma installato.

Alla titolare della società Bit è stato dunque contestato il reato previsto e punito dall’articolo 171 – bis comma 1 della legge n. 633/41 che punisce "chiunque abusivamente duplica, per trame profitto, programmi per elaborare o, ai medesimi fini, importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale, o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla società italiana degli autori ed editori" ma solamente nella parte in cui detto articolo prevede la detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale.

Deve dunque essere in primo luogo osservato che la condotta ascritta al prevenuto nel capo di imputazione non può riguardare la abusiva duplicazione, ma unicamente la contestata detenzione di programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla SIAE. Il prevenuto può essere giudicato unicamente per tale condotta e non anche per la, seppur supposta, duplicazione di software. Dato che il teste Vicari, impiegato della Siae, ha riferito che all’epoca del fatto tra la Siae e la società Microsoft (società produttrice dei programmi in questione) era intervenuto un accordo in forza del quale i programmi per computer potevano essere venduti senza il bollino della Siae, si potrebbe immediatamente concludere per l’insussistenza del reato contestato.

Qualora si volesse ipotizzare che nella contestazione era compreso anche l’addebito dell’uso di programmi senza licenza d’uso bisognerebbe pur sempre chiedersi preventivamente se tale condotta costituisca o meno reato.

Dalla semplice lettura della disposizione ut supra citata emerge che la fattispecie incriminatrice riguarda unicamente colui che, per trame profitto, detiene programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla SIAE a scopo commerciale o imprenditoriale. Deve dunque essere chiarito in cosa consista il suddetto scopo; in assenza di tale fine deve infatti escludersi la sussistenza del fatto previsto dalla legge come reato.

All’uopo soccorrono le disposizioni della stessa legge n. 633/1941 ed in particolare il comma 2 dell’articolo 171 – ter, il quale prevede che lo scopo commerciale od imprenditoriale è proprio di coloro i quali commettono il fatto "esercitando informa imprenditoriale attività di riproduzione, distribuzione, vendita o commercializzazione, importazione di opere tutelate dal diritto di autore".

Solo ed esclusivamente per tali soggetti è reato detenere software non contrassegnati dalla SIAE. Il precetto normativo non si rivolge invece a quei soggetti che svolgono una libera professione e che utilizzano i software nel proprio ufficio, non già per la rivendita o commercializzazione dei programmi stessi, ma unicamente per svolgere la propria, diversa attività.

Per tali soggetti l’utilizzazione del programma è dunque un mero strumento per lo svolgimento dell’attività professionale; non essendo il fine di detta attività, la detenzione del software da parte di un professionista o di un imprenditore che svolga la propria attività in altro settore commerciale non rientra nella previsione normativa di cui all’articolo 171 bis bensì in quella del successivo articolo 174 ter che prevede una sanzione amministrativa proprio per colui che detiene, per scopo diverso da quello imprenditoriale e commerciale, un programma per elaboratori non contrassegnato.

In altri termini la tutela penale del bene "software" non può spingersi fino ad impedire all’acquirente di un programma per elaboratori – sempre che lo stesso sia regolarmente contrassegnato – la sua utilizzazione al fine di svolgere la propria attività professionale. Nella fattispecie non possono nutrirsi dubbi in ordine alla buona fede del giudicabile il quale ha acquistato tutti i computer con i relativi programmi in essi contenuti da una ditta specializzata nel settore. E’ stato sentito al riguardo il teste F., dipendente della srl S.Q., il quale ha confermato che la società per la quale lavora svolgeva consulenza software per la V. alla quale erano stati venduti diversi computer con i relativi programmi già installati che erano stati regolarmente fatturati. Lo stesso teste ha precisato che talvolta la licenza d’uso non era indicata nelle singole fatture, essendo indicati importi forfettari.

Concludendo, ad oggi nessuna norma penale punisce l’imprenditore o il professionista che, avendo regolarmente acquistato un programma per elaboratori, utilizzi il software per il proprio lavoro; da ciò discende pianamente che il V. non ha commesso alcun fatto penalmente rilevante. Conseguentemente i programmi sequestrati devono essere restituiti all’avente diritto.

P.Q.M.

Visto l’art. 530 c.p.p. assolve V.G. dal reato ascritto perché il fatto non sussiste. Ordina la restituzione all’avente diritto di quanto in sequestro.
Così deciso in Genova il 16 aprile 2007.
Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2007.

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