Come ormai noto, nel periodo più buio della lotta al coronavirus, quello in cui le nostre libertà di circolazione sono state pressoché azzerate, la fruizione di quotidiani, riviste e libri in versione digitale ha avuto un’impennata considerevole. Per venire incontro alle esigenze dei lettori più avidi, nonostante le edicole siano rimaste aperte per tutto il periodo, alcuni soggetti si sono organizzati per garantire ai cittadini la fruizione di contenuti letterari di vario genere attraverso la distribuzione gratuita degli stessi su svariati canali dell’applicazione di messaggistica istantanea Telegram.

Un gesto nobile, se non fosse che le opere in questione sono tutte protette dalla normativa sul diritto d’autore (L. 22 aprile 1941, n. 633) e sono state divulgate in maniera illecita.

Per cercare di arginare questo fenomeno, la FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) aveva segnalato la presunta violazione all’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni), chiedendo “la rimozione di tutte le edizioni digitali di testate giornalistiche pubblicate da aziende associate alla FIEG, nonché la cessazione della loro sistematica messa a disposizione”.

Il provvedimento dell’AGCOM non ha tardato ad arrivare, ma quasi parallelamente il caso ha interessato anche la magistratura, considerati i rilevanti profili penalistici che sono emersi dalla vicenda.

Vediamo in che modo hanno operato i due poteri.

 

L’intervento di AGCOM

A seguito dell’istanza presentata dalla FIEG, la Direzione Contenuti Audiovisivi, interna ad AGCOM, si è attivata e ha comunicato a Telegram l’avvio del procedimento, informandola della possibilità di adeguarsi in maniera spontanea alle richieste avanzate dalla FIEG. Telegram ha a sua volta notificato il provvedimento ai gestori dei canali su cui avvenivano gli illeciti. Da quel momento, l’Autorità ha potuto appurare che 8 dei 9 canali segnalati hanno cessato la messa a disposizione di contenuti editoriali in violazione della normativa sul diritto d’autore e non risultano più attivi.

Dopo aver raggiunto questo parziale risultato, peraltro solo temporaneo, l’AGCOM ha deciso di archiviare gli atti e li ha trasmessi agli organi di polizia giudiziaria. Le ragioni di tale scelta sono chiaramente espresse nel provvedimento e, tutto sommato, non si discostano molto da precedenti interventi dell’Autorità su segnalazioni dello stesso tenore.

L’AGCOM ha premesso che nell’applicazione della disciplina sul diritto d’autore alle reti di comunicazione elettronica è necessario operare un’esatta valutazione degli interessi contrapposti in gioco. Da un lato, la tutela delle libertà di comunicazione, di espressione e di manifestazione del pensiero, dall’altro la tutela della privacy e il diritto dei cittadini di accedere alla cultura, intesa in senso lato, e di conseguenza a internet.

Ciò detto, la circostanza che i contenuti illeciti siano ospitati su server ubicati al di fuori dei confini nazionali fa sì che l’Autorità non possa procedere direttamente alla loro rimozione. Per fare ciò, infatti, sarebbe necessario impiegare tecniche di filtraggio che la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha giudicato incompatibili con il Diritto dell’Unione. L’unica strada percorribile sarebbe, quindi, quella di disabilitare l’accesso al sito.

C’è da dire, però, che, ai sensi dell’art. 8., co. 2, del “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica” vanno tenuti in considerazione i principi di gradualità, proporzionalità e adeguatezza.

Considerato che Telegram offre come servizio principale quello di messaggistica istantanea, oltre alla possibilità configurare chat private e canali pubblici, e visto l’ampio numero di utenti che se ne servono, non risulterebbe proporzionata, ai sensi del citata art 8, co. 2 del Regolamento, l’adozione di un provvedimento che blocchi l’accesso ai servizi di Telegram nella loro interezza. Tanto meno la scelta appare congrua se si considera che, a seguito dell’apertura del procedimento, la gran parte dei canali incriminati sono stati disabilitati e che la fruizione di contenuti illeciti è momentaneamente diminuita.

 

L’intervento della magistratura

Le notizie relative ai canali Telegram su cui erano distribuite in maniera illecita opere letterarie sono arrivate anche alle orecchie della Magistratura, che non ha tardato a mettere in moto la propria macchina.

Alla fine del mese di aprile, infatti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari ha disposto il sequestro, mediante inibizione immediata dell’accesso, di numerosi canali di Telegram su cui venivano diffuse copie dei quotidiani più letti. Il provvedimento è stato emanato a seguito degli accertamenti condotti dal Nucleo Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza, su impulso della stessa Procura di Bari.

Nel provvedimento, emesso contro ignoti, sono state ipotizzate ben quattro fattispecie di reato:

  • La prima ipotesi di reato riguarda l’accesso abusivo a sistema informatico, data la circostanza che i soggetti ignoti “si sono abusivamente introdotti nei sistemi informatici di numerose società editrici di riviste, giornali e libri protetti da misure di sicurezza; eliminando le protezioni ai file dei predetti beni tutelati dal diritto d’autore e permettendo così la diffusione in chiaro di migliaia di riviste, giornali e libri”;
  • La seconda ipotesi avanzata è quella di furto, perchè, una volta entrati nel sistema informatico, i soggetti ignoti hanno sottratto ai titolari del diritto d’autore migliaia di file PDF di quotidiani, riviste e libri;
  • Fa seguito la violazione della legge sul diritto d’autore “per avere [gli ignoti] ai fini di lucro, comunicando al pubblico, immettendo in un sistema di rati telematiche, riprodotto, duplicato, trasmesso e comunque diffuso abusivamente, più di cinquanta copie o esemplari di opere tutelate dal diritto d’autore e da diritti connessi. Il tutto esercitando in forma imprenditoriale l’attività di riproduzione e distribuzione”;
  • L’ultima ipotesi di reato menzionata dal provvedimento è quella di riciclaggio, integrata dall’acquisizione e dal successivo trasferimento di beni di provenienza delittuosa (i file PDF sottratti illecitamente), attraverso operazioni idonee ad ostacolare l’identificazione della provenienza illecita di detti beni.

La Procura di Bari, dopo aver snocciolato le varie ipotesi di reato, ha anche motivato la necessità di sequestrare i canali di Telegram incriminati, facendo espresso riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 31022 del 29/01/2015. Secondo i giudici, un provvedimento di sequestro ad un internet provider, tenuto conto delle peculiarità della realtà nella quale va ad incidere, può sostanziarsi in una inibitoria – una richiesta volta a far cessare un comportamento illecito o vietato – rivolta allo stesso provider, con la quale si richiede di impedire l’accesso e la fruizione di un sito o di una pagina web ovvero di rimuovere i file incriminati.

Conclusioni

In sostanza, che se ne occupi l’autorità amministrativa o la magistratura, si tratta sempre di vincere una battaglia e perdere la guerra. Purtroppo, i provvedimenti volti alla rimozione dei contenuti dai canali o quelli che portano alla chiusura degli stessi sono solo palliativi per un male difficilmente curabile.

La stessa AGCOM nel provvedimento sopra analizzato era stata chiara nell’affermare due circostanze.

Innanzitutto, in tema di diritti disponibili, tra i quali rientra il diritto d’autore, la tutela è necessariamente rimessa alla discrezionalità del titolare di tali diritti. Pertanto, l’Autorità può intervenire solo su istanza degli interessati. Da ciò deriva che per ogni nuova violazione compiuta su un canale sarebbe necessaria una segnalazione.

In secondo luogo, alla luce delle disposizioni attualmente vigenti, la piattaforma Telegram non è soggetta ad un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti trasmessi dagli utenti; ne consegue che l’eventuale distribuzione di contenuti tutelati dal diritto d’autore su altri canali dovrà essere oggetto di una nuova e specifica istanza.

A riprova della scarsa efficacia delle soluzioni che l’attuale quadro normativo consente di adottare, si segnala che già nel mese di maggio l’AIE (Associazione Italiana Editori) ha segnalato all’AGCOM la presenza di una significativa quantità di opere di carattere letterario su alcuni canali di Telegram. Insomma, dopo un mese dall’intervento dell’Autorità sul caso FIEG, si è riproposto il medesimo problema: l’unica differenza è che si è passati da quotidiani e riviste alla narrativa e ai testi universitari.

 

Redazione Diritto dell’informatica

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