Oggi giorno documentarsi è diventato semplice ed intuitivo permettendo a chiunque ed in qualunque momento di essere aggiornato sui principali avvenimenti soprattutto mediante i canali informativi non ufficiali quali blog e social network.

In molti infatti scelgono di reperire le informazioni attraverso tali mezzi di comunicazione, i quali se da un lato garantiscono aggiornamenti in tempo reale, dall’altro permettono un incontrollabile flusso di notizie, la cui veridicità spesso non viene approfondita e verificata come si dovrebbe.

Vi sono stati, infatti, specie nell’ultimo periodo, numerosi casi di notizie clamorose, che, dopo essere state pubblicate on line, sono subito state smentite, scatenando il disappunto degli utenti del web e non solo.

Spesso, anche se la notizia appare come potenzialmente falsa o addirittura ridicola, la stessa circola comunque on line e viene condivisa con migliaia di persone, molte delle quali finiscono per crederla vera. E tra questi non vi sono solo i disattenti internauti, ma addirittura le testate giornalistiche, che, vuoi per non perdere uno scoop o per non aver posto in essere un controllo meticoloso della fonte, finiscono per pubblicare la notizia nei propri canali ufficiali, amplificandone ancor di più il clamore mediatico.

Ma cosa si cela dietro la pubblicazione di una notizia falsa? Molto spesso, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, esistono delle vere e proprie società che operano per ricavare un profitto da tale attività mediante lo sfruttamento economico dei banner pubblicitari collegati ai siti web.

Ma questo genere di attività può considerarsi lecita? E, soprattutto, quali sono le conseguenze sotto il profilo legale per gli autori?

Nelle righe che seguono cercherò di  fornire al lettore un quadro chiaro e completo su questo sempre più diffuso fenomeno.

L’attuale quadro normativo

Prima di analizzare la normativa di riferimento, appare utile approfondire l’iter che porta alla pubblicazione di una notizia falsa.

Anzitutto, il sito web nel quale viene pubblicata la bufala è sempre caratterizzato dalla presenza di numerosi banner e pop-up  pubblicitari, i quali fanno generalmente capo ad una società di pubblicità, la cui titolarità è riconducibile al sito stesso e che conserva la proprietà dello spazio web da esso occupato.

Attraverso tale meccanismo, l’azienda incassa una piccola somma ogni qual volta l’utente si collega al sito web. Somma che, moltiplicata per i singoli click, porta spesso ad ingenti guadagni.

Il problema, tuttavia, non è relativo solamente alla liceità o meno dei ricavi derivanti dallo sfruttamento economico dei banner pubblicitari, ma riguarda piuttosto le conseguenze di natura legale che possono derivare dalla pubblicazione delle fake news.

Si pensi, ad esempio, alla pubblicazione di una notizia idonea a determinare la lesione dell’onore di un determinato soggetto o che possa procurare allarme sociale.

La prima ipotesi potrebbe astrattamente integrare la fattispecie delittuosa della diffamazione con l’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 595 del codice penale il quale prevede che “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro”. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione (sent. 44980/2012), infatti l’utilizzo di Internet è da considerarsi quale “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, e dunque un’eventuale condotta diffamatoria posta in essere attraverso tale strumento potrebbe essere astrattamente soggetta all’aggravante appena descritta. 

Nel secondo caso, addirittura, potrebbero ricorrere gli estremi del reato di cui all’art. 656 del codice penale, il quale sancisce che “Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309.”

Le prospettive future

Come si è avuto modo di constatare, ad oggi, il nostro ordinamento non prevede una normativa ad hoc per contrastare il fenomeno delle cosiddette bufale on line. Tuttavia, negli ultimi giorni si stanno verificando diverse prese di posizione ed iniziative anche di natura legislativa al riguardo.

Una tra tutte, quella del Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, la quale nei giorni scorsi, attraverso un videomessaggio, ha deciso di lanciare l’appello “#bastabufale” con una petizione on line per sostenere il diritto ad una corretta informazione.

Sempre negli ultimi giorni, è stato presentato anche un Disegno di Legge contro la diffusione delle fake news sul web, denominato “Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica”.

L’obiettivo dei firmatari del ddl è quello di combattere la diffusione delle fake news mediante blog e forum (non su testate giornalistiche registrate), distinguendo tra chi fa satira e chi invece diffonde notizie false arrecando danni seri alla società.

Il testo di legge prevede, dunque, sia sanzioni penali che multe. Infatti, risponde con il pagamento di un’ammenda fino a cinquemila euro chi diffonde notizie false “esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o falsi”, mentre, oltre all’ammenda, è prevista addirittura la pena della reclusione, per un periodo non inferiore a 12 mesi, qualora le notizie rechino “pubblico allarme o nucumento agli interessi pubblici”.

Il dettato normativo contempla, inoltre, alcune misure per contrastare l’anonimato e per rendere facilmente identificabili gli autori. Tra queste, assume senza dubbio rilievo l’obbligo di comunicazione, tramite pec, alla Sezione per la stampa e l’informazione del Tribunale competente, di una serie di informazioni, tra cui l’url della piattaforma elettronica e i dati personali dell’amministratore del sito.

Sempre in capo all’amministratore della piattaforma elettronica graverà, poi, un ulteriore obbligo, ovvero quello di pubblicare le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o circostanze false o lesive della dignità. Il tutto entro il termine di due giorni da quando è avvenuta la richiesta mediante pubblicazione sulla pagina principale della piattaforma.

Nel caso di mancato rispetto di tale disposizione sono, inoltre, previste delle sanzioni amministrative da 500,00 a 2.000,00 euro.

Conclusioni

Come abbiamo avuto modo di vedere, ad oggi manca ancora una normativa specifica in grado di contrastare tale fenomeno: per ora, esiste solo una proposta di legge che, peraltro, sta facendo nascere un acceso dibattito, in quanto, secondo molti, potrebbe limitare la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di stampa.

Non ci resta quindi che attendere e seguire i prossimi sviluppi, auspicandoci che qualcosa di concreto venga fatto per arginare un fenomeno che, alterando di fatto la realtà, può cagionare gravi danni all’intera società.

Dott. Giuseppe Laganà

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